In attesa di conoscere le short list Gerety Awards 2025 il 10 giugno, cui seguirà la comunicazione dei vincitori il 2 settembre, abbiamo intervistato la giuria italiana, demandata a valutare le categorie Craft e For Good.
Autenticità, ruolo dei brand e originalità. Fondamentale il crafting
Sono stati concetti chiave su cui Samantha Scaloni, ECD, DDB GROUP ITALY, presidente della Giuria italiana Gerety Awards ha invitato tutte a concentrarsi. Dopo la sbornia da ‘whatever washing’ c’è bisogno infatti di credibilità e coerenza, unitamente all’impatto, quindi originalità perché progetti tutti uguali si annullano e se i valori possono essere gli stessi, devono almeno essere resi in modo differente e migliore. Di qui il ruolo cruciale del crafting. Altrettanto la rilevanza culturale e l’impatto nella vita delle persone. Il tutto suscitando emozione. Senza, non si fanno muovere le persone, come diceva Bernbach: “unless you feel it, nothing happens”.
Il senso di una giuria al femminile
Lo abbiamo chiesto perché se nel passato le forzature hanno raggiunto lo scopo anche della denuncia, è ancora altrettanto necessario sottolinearlo oggi con un premio che dà potere di giudizio solo alle donne? Per Samantha si. “Viviamo in un momento storico in cui la sotto rappresentazione di genere a livello globale impone ancora di forzare il sistema, dando rilevanza, voce, amplificazione e coraggio. Senza dimenticare che, anche grazie al Gerety, si tocca con mano quante siano le donne che si occupano di comunicazione e quanto siano brave”.
Alto il tenore dei lavori, ma omologazione e poca leggerezza
“In linea generale, i lavori giudicati erano molto giusti, dritti, però anche abbastanza standardizzati, pure nel racconto. Sarebbe bello, invece, riscontrare una modularità, una versatilità anche dal punto di vista del tono di voce” conclude Samantha.
I film e l’Ai generativa
Ada Bonvini, CEO The Family Film, tiene a citare due lavori differenti ma emblematici per qualità. Bubbles, di Deutsche Telekom, film meraviglioso da tutti i punti di vista del crafting, certamente con un budget molto importante, ma anche molto ben impiegato. Il secondo, il corto di otto minuti Scandinavian Airlines, budget ridottissimo, sicuramente riuscendo a creare sinergie e scambi merce altrimenti non sarebbe credibile l’importo dichiarato, ma con un risultato comunque di rilievo che lascia ben sperare rispetto alla voglia di qualità anche con budget non faraonici. Il tutto aprendo a un commento sull’AI. Che poi c’è sempre stata, pensiamo agli effetti speciali. Il punto è sempre usare l’innovazione in maniera virtuosa. Quindi perfetta per abbattere molti costi in preparazione e in pre visualizzazione. A preoccupare, invece, è la velocità del del cambiamento, con molti che rimarranno indietro.
Perché le tematiche si piegano ai trend? Il coraggio di stare dalla parte di ciò in cui si crede
Come ci racconta Cinzia Pallaoro, ECD LEAGAS DELANEY ITALIA, “ci sono tematiche che iniziano a farsi vedere, questo è interessante, la salute mentale e l’uso dei social da parte degli adolescenti, ad esempio. Ma con rammarico si evidenzia come siano sparite, o comunque molto diminuite, climate change e sostenibilità. I migranti, poi, addirittura non pervenuti. Sì la violenza di genere, ma sempre meno la parità di genere, assente il razzismo. Come sappiamo, quando un tema arriva nel radar della pubblicità, poi arriva anche alla società, ovvio succede anche il contrario, ma meno di frequente. Quindi, se un problema sparisce dalla comunicazione, ma non dalla società, il rischio è che non si solleciti più la voglia di impegno per risolverlo, che non si massimizzi l’attenzione collettiva. Ad esempio, in questo momento un tema innominabile è la guerra, tanto che tutti noi comunicatori dovremmo pensare a cosa fare in merito. Il tutto avendo anche ricadute sull’autenticità che i brand trasferiscono di sé stessi, perché troppo spesso sposano cause mainstream per marketing, non per credo. Rarissimo, poi, che si abbraccino temi divisivi. Ma noi comunicatori dobbiamo impegnarci per fare la differenza, perché con il nostro lavoro possiamo farla”.
Non solo endorsement pro causa, ma impegno attivo. Che la comunicazione aiuti il non profit a innovare il linguaggio
A Cinzia fa coro Simonetta Gola, Chief Communication Emergency ONG, che cita una case come Patagonia per coerenza tra brand e causa sostenuta, mentre troppo spesso l’impressione è che le aziende si appoggino alla reputazione e alla causa senza fare battaglia insieme. In questo senso, tra i diversi progetti analizzati, la campagna di un do-it-yourself tedesco, contro il nazismo ha fatto breccia puntando su un personaggio che da una decina d’anni rimuove i simboli del nazismo usando spray, raschietti e altri prodotti della catena. In un paese dove il 20% della popolazione si schiera con l’estrema destra è una scelta di posizionamento che può avere dei costi, ma è solo così che si fanno le battaglie. Non basta l’endorsement, occorre portare avanti le cause direttamente. “Le realtà di comunicazione devono aiutare noi del non profit sia da un punto di vista tecnico, sicuramente con delle sponsorizzazioni, ma anche a farci uscire da una comunicazione ripetitiva, stereotipata. Occorre rinnovare il linguaggio con proposte più coraggiose, evitando di creare lo stereotipo delle persone che vogliamo aiutare, perché sarebbe altrettanto dannoso che non parlarne.
Comunicazione e contenuti, una questione etica?
Carla Leveratto, Creative & Content Lead Google, l’ultima domanda è per te che ti occupi di creatività e di contenuti, ma i marketer, le piattaforme, e chiunque crei contenuti, insomma tutti, non si devono iniziare a porre una questione etica circa ai concetti che comunicano ai giovani? Insomma, che tipo di cultura e di società stiamo creando per loro con i contenuti che proponiamo? “Sicuramente abbiamo un ruolo importante, una responsabilità, specialmente verso i giovani, che sono fortemente influenzabili. Se pensiamo alla quantità anche di messaggi pubblicitari con i quali vengono bombardati è naturale chiedere ai brand di non pensare solo a vendere prodotti, ma anche a comunicare valori e stili di vita, avendo impatto sociale. Per questo tra le diverse campagne viste da questa giuria cito quella di Second Chance, website francese per l’adozione di cani. L’insight: quelli neri vengono adottati molto di meno, restano quattro volte di tempo in più nei canili. Quindi? Si è intercettato il fenomeno fandom di Taylor Swift, che ha fatto la canzone del Black Dog. Si sono cambiati i nomi degli 836 cani adottabili, di colore nero, mettendo loro il nome della cantante e chiedendo alla fandom, alle Swifties, di dare una mano per adottarli. Il tutto riscuotendo un successo senza precedenti e soprattutto avendo coinvolto i giovani, ingaggiati anche sotto il profilo valoriale ed etico”.