“Impubblicabile. Troppo lungo. O troppo tradizionale”. Valeria Golino, nel ruolo di Goliarda Sapienza, ha appena tirato fuori dal cassetto il copioso manoscritto de L’arte della gioia, il libro che, pubblicato in Italia solo nel 2008, sarebbe diventato il suo capolavoro e l’avrebbe consacrata tra le scrittrici più importanti del Novecento. È una scena del film Fuori di Mario Martone, presentato ieri al Festival di Cannes e in uscita al cinema in Italia il 22 maggio. Nella storia raccontata dal film, liberamente tratta da altri due libri della scrittrice, L’università di Rebibbia e Le certezze del dubbio, siamo nei primi anni Ottanta, troppo presto perché la puritana Italia potesse capire un libro così libero e “scandaloso”. Goliarda Sapienza è una scrittrice che ha pubblicato ancora poco, che è appena stata in galera, a Rebibbia, per un furto di gioielli, e sta cercando un lavoro qualsiasi per mantenersi. Non è ancora nemmeno lontanamente apprezzata come scrittrice, e una volta “fuori” continua a frequentare le amiche che ha incontrato in galera, per provare a ritrovare un po’ di quel “dentro” che per lei ha significato molto.
Fuori arriva dopo L’arte della gioia
È bellissimo vedere Fuori dopo aver visto L’arte della gioia, la serie/film che ha appena vinto tre David di Donatello, e che è diretta proprio da Valeria Golino. Che lì aveva preso la tutela dell’opera, e dell’anima, di Goliarda Sapienza, curando il suo libro con una scrittura e una regia ispirate. E che qui ne incarna il corpo e lo spirito, ancora una volta custode della sua figura e della sua opera. È bellissimo, dopo aver visto L’arte della gioia, conoscere la mente che l’ha creata, la vita della scrittrice. Goliarda Sapienza è come la sua opera: libera, irriverente, sfrenata, sfrontata. “Quel libro sono io. Ci sono anni di lavoro dentro. È tutto quello che ho fatto” dice il personaggio di Goliarda a un certo punto del film. “Era un’anarchica, una ribelle” dice della scrittrice Valeria Golino, che l’aveva conosciuta a 18 anni. “Ma credo che fosse una donna per certi versi docile. Era molto accogliente, curiosa di tutto e di tutti. Era piena di dubbi, cambiava idea. Era intollerante verso la stupidità e l’ottusità, le ideologie. Era talmente dentro lo stupore della vita da non essere giudicante. E per non esserlo deve avere quella morbidezza. Era nata nella prima metà del Novecento, ma non apparteneva a quel tempo e neanche a questo. Era femminista, ma non femminista come si era in quegli anni”.
Dentro e fuori
Fuori, il bellissimo film di Mario Martone, accolto da oltre sette minuti di applausi nella proiezione ufficiale di Cannes, vive di una continua dialettica tra opposti. Quella tra il “dentro” e il “fuori”, tra il buio e la luce, tra aspirazioni e realtà, tra la vita borghese e intellettuale e la vita popolare. Per Goliarda restare attaccata a Roberta e Barbara vuol dire credere ancora di essere “dentro”, in quel mondo che le ha dato tanto. Ma anche osservare, entrare nella vita di due ragazze diverse da lei per età, estrazione, cultura. È anche trovare materiale per i suoi libri. Le sue amiche le dicono che è una “ladra”. Ma non dei gioielli per cui è stata arrestata. È una ladra di emozioni, vite, storie. D’altra parte, si sa, “ogni artista è un cannibale, ogni poeta è un ladro”. “Roberta è una persona realmente esistita, che ha fatto parte della vita di Goliarda, ma poi è diventata un suo personaggio” ha spiegato Matilda De Angelis, che la interpreta. “Mi ha emozionato interpretare Roberta attraverso gli occhi di Goliarda, vista con gli occhi pieni d’amore con cui lei la guardava. E con cui Valeria guardava me. Da spettatrice ho sempre l’idea di spiare queste solitudini che si incontrano. È come sedersi in un bar di fianco a qualcuno e sentire parte della loro conversazione”. “Mi sono innamorata della sua dolcezza della sua inconsapevolezza, della sua maternità e nella sua apprensione nei confronti delle sue amiche” racconta Elodie a proposito di Barbara, il suo personaggio. “E anche nella gelosia nei confronti di Goliarda per il suo rapporto con Roberta”.
Una delle chiavi del film sono i corpi delle attrici
Sono corpi belli, fieri, reali, impavidi. C’è la bellezza matura, magnetica, intellettuale, ma anche decisamente fisica e coraggiosa della Goliarda di Valeria Golino. E c’è l’esuberanza fisica e temperamentale della Roberta di Matilda De Angelis, probabilmente nel miglior ruolo della fin qui giovane carriera, come lei stessa ha ammesso. E c’è la bellezza popolare, dolente, e quasi trattenuta della Barbara di Elodie. Tre corpi che a tratti vivono quasi in simbiosi, in una relazione di sorellanza, che è amicizia, amore, complicità, sorellanza. E come vediamo in una scena molto intima e toccante di una doccia insieme. Tramite questo rapporto avviene quella che è, come è stato scritto, l’identificazione di una donna.
Il ‘dentro’ per Goliarda Sapienza è stato davvero importante
È un paradosso, ma in quella che chiama l’Università di Rebibbia, era davvero libera. Le prigioni, a quanto pare, sono altre: il conformismo, il perbenismo, le convenzioni, la vita borghese, il mondo degli intellettuali. In questo mondo dove tutto viene dato così facilmente, in questo consumismo, il “dentro” è libertà, è meglio del “fuori”. Lo dice la vera Goliarda Sapienza, alla fine del film, in uno spezzone di una trasmissione di Enzo Biagi. E racconta anche la condizione femminile. “La donna viene dalla repressione, e si adatta facilmente”. Che un film sulle donne si raccontato da un regista uomo, con uno sguardo così femminile, è davvero interessante. “Mario ha guardato noi in un modo in cui non mi sentivo guardata da tantissimo tempo” ha spiegato Valeria Golino. “Mi sono sentita guardata, che è tutto quello che l’attore vuole. Il suo era uno sguardo stupito, benevolo, a volte contrariato”.
Fuori vive di una regia ispirata e funzionale alla storia
È una regia realista ma immaginifica, proprio com’era la scrittura di Goliarda Sapienza. E vive di una ricostruzione d’epoca riuscita, con abiti e macchine d’altri tempi, e soprattutto quei colori seppiati, desaturati, tipici delle immagini a cavallo tra gli anni Settanta e i primi Ottanta. Piazza del Popolo, Porta Maggiore, Stazione Termini. E i Parioli, con il loro razionalismo. “Goliarda Sapienza viveva lì, in un quartiere molto ricco, ma era nella casa di un ente” spiega Martone. “Guardare i Parioli mi ha colpito. Ho visto il razionalismo, la geometria. In un film sul carcere le geometrie dialogano, perché ce n’è un’altra, quella delle prigioni”. Quanto agli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, “sono convinto che sia sbagliato parlarne solo come gli anni di piombo” rifletta il regista. “Sono stati anche anni di utopia, libertà, immaginazione, sperimentazione artistica e umana. Bisognava che venisse fuori tutto questo. Il personaggio di Roberta permetteva che nel film ci fosse anche la politica, che rimaneva all’orizzonte, dove ci sono tante cose, compresi i maschi”.
Ai Parioli c’è ancora quella che era la casa di Goliarda Sapienza
Che è davvero quella che vediamo nel film. “È qualcosa di commovente, che dà un senso a quello che faccio” ha raccontato Valeria Golino”. “Siamo entrati nella vera casa di Goliarda, che mi ricordavo da ragazza. Fare questo lavoro su di lei è come innamorarsi, fidanzarsi, e con L’arte della gioia ho dovuto immergermi nella sua arte. In quello che dice, che contraddice. È disordinata e aggraziatissima, piena di intuizioni fulminanti, e scabrosa nei contenuti”.
di Maurizio Ermisino