Interviste

Francesca Andreoli: un produttore deve sempre rispettare la visione dell’autore. Avreste investito su Vermiglio?

Un’opera seconda, di una regista donna, girato in un paesino di alta montagna, in dialetto, senza attori conosciuti. Vermiglio poteva essere il classico progetto davanti al quale i produttori scappano a gambe levate. Ecco invece cosa è successo. E perchè

 “Le coproduzioni sono un bacino di talentiCi eravamo annotati questa frase, e ci era rimasta impressa, in occasione del trionfo di Vermiglio ai David di Donatello. A pronunciarla, visibilmente soddisfatta ed emozionata, era stata Francesca Andreoli, vincitrice, con la sua Cinedora, anche del premio per la miglior produzione. Presidente della Giuria Internazionale al Biografilm Festival di Bologna, è stata per Youmark occasione di intervistarla per saperne di più su Vermiglio, il film caso dell’anno, a livello di critica, premi e anche incassi nella sale. Abbiamo chiesto alla produttrice di parlarci di un tema a noi caro da sempre: il gap tra uomini e donne nei vari mondi della creatività e della produzione, in questo caso il cinema. Ma abbiamo cercato anche di capire il segreto di Cinedora, la casa di produzione fondata da Francesca Andreoli con Leonardo Guerra Seràgnoli, Santiago Fondevila Sancet e Maura Delpero.

Come siete riusciti ad attrarre le produzioni straniere?

“Sono sempre stata molto interessata alle coproduzioni, già quando lavoravo per Tempesta, la casa di produzione di Carlo Cresto-Dina: aggiungono sempre un grandissimo valore al progetto, sono un bacino fertile di idee e proposte. Parlare con un coproduttore ti dà sempre un altro punto di vista: è una persona che fa il tuo stesso lavoro e condivide le difficoltà e le sfide. La svolta è avvenuta quando ho partecipato ad ACE, un network che raccoglie centinaia di produttori da tutto il mondo, di grande esperienza. Per Vermiglio sono andata a sollecitare quelli che sapevo avrebbero potuto appassionarsi al progetto. Charades, il produttore francese, era stato già sales agent con noi per Maternal, il primo film di Maura Delpero. E ora ha scelto di essere coproduttore. Il responsabile di Versus Production, il produttore belga, si è fidato: ha letto la sceneggiatura – quelle di Maura sono come dei romanzi – anche se era un film complesso: un’opera seconda, di una regista donna, girato in un paesino di alta montagna, in dialetto, senza attori conosciuti. È il classico progetto davanti al quale un produttore scappa a gambe levate. Ma ci conosceva e condivideva la nostra idea di cinema”.

Cosa significa essere un produttore oggi?

“Tutto sta sempre nel seguire la tua visione e nel rimanere fedele a quello che vuoi fare. Con Vermiglio è stato molto complicato per tutte le ragioni già dette. Se avessimo dovuto sottostare a rigide logiche commerciali, non sarebbe stato in dialetto e ci avrebbero imposto attori noti. Ma certi elementi erano necessari al film, girarlo in italiano sarebbe stato un falso storico. Se credo in un progetto voglio rispettare la visione dell’autore. Un produttore dovrebbe sempre farlo. E dare all’autore il tempo e la cura per la storia che ha in mente, senza compromessi”.

Vermiglio è un film scritto e diretto da una donna. E c’è una donna tra i produttori. Quanto è ampio ancora il gap da colmare per la parità di genere in questo mondo?

“C’è ancora un gap enorme, anche se passi avanti sono stati fatti. Quando ho iniziato e lavoravo per la Cineteca di Bologna donne produttrici non esistevano, ci ricordiamo Marina Cicogna perché c’era solo lei, o poche altre. Oggi le produttrici si contano sulle dita di due mani. Per le donne registe è ancora più complicato. Quando ero in Cineteca ho conosciuto Maura Delpero con i suoi primi documentari, all’epoca c’era lo stigma per cui i produttori non affidavano a donne film con grossi budget. In Italia siamo ancora indietro, fino a un paio di anni fa, su 10 film, 9 erano diretti da uomini e 1 da donne. Con questa politica più a favore delle donne forse si arriverà a un equilibrio. Anche se, guardando il mondo, abbiamo visto che i diritti acquisiti non sono mai tali ma bisogna sempre lottare e non abbassare la guardia. All’estero la situazione è completamente diversa”.

Ma come si colma il gap?

“Con politiche culturali, con la produzione del cinema delle donne, con incentivi a favore dei ruoli delle donne nel cinema. Pensiamo ai direttori della fotografia: ci sono pochissime donne. Ma ci sono anche poche macchiniste, elettriciste. Sul set di Vermiglio avevamo molti ruoli coperti da donne”.

Tra i vari David ha colpito quello per il miglior casting, attori e volti presi dalla vita reale. Come si scelgono e come si crea un mix per trovare i volti giusti?

“Maura sapeva, e noi con lei, che la famiglia doveva essere interpretata da persone del luogo, abituate alla vita su quelle montagne e al rapporto con ciò che ti circonda e con gli animali. La scena in cui Ada che tiene in braccio a lungo una gallina è stata possibile perché l’attrice ha le galline e sta tanto tempo con loro. La scena in cui Lucia munge una mucca è un gesto che per l’attrice è naturale. Avevamo bisogno di naturalezza: se ce l’hai già dentro è molto più semplice che passi al pubblico. È stato un casting lunghissimo, durato due anni. Siamo andati a cercare gli attori nelle scuole di agraria, negli istituti professionali. Li abbiamo convinti, molti erano restii a buttarsi in un’operazione che non conoscevano. E’ stato fondamentale il lunghissimo lavoro di coaching di Alessia Barela, li ha preparati al rapporto con la macchina da presa. Se da un lato non volevamo fossero abituati all’obiettivo, dall’altro dovevamo dare loro gli strumenti per muoversi attraverso esso. E dovevano essere una famiglia, il rapporto tra loro era basilare”.

Quando avete capito che sarebbe stato un film fuori dal comune e che avrebbe fatto una grande strada?

“Ci fidavamo del talento di Maura, sapevamo che è un’autrice con uno sguardo intenso e poetico. Quando ho visto il primo montato del film ho pensato che era proprio bello. Detto ciò, tutto quello che è venuto dopo è stata una sorpresa. È vero che puoi avere un film di cui sei soddisfatto, ma non è automatico che abbia il successo che ha avuto Vermiglio. Si sono inanellate una serie di situazioni, festival e premi, che ne hanno aiutato lo sfruttamento in sala, la distribuzione, le vendite e ne hanno fatto un caso. Ma se non ci fosse stata la selezione e il premio a Venezia, e poi la candidatura italiana agli Oscar, il film avrebbe fatto risultati più modesti in sala. È stata una serie fortunata di eventi avvenuti con timing perfetto”.

Anche il lancio del film da parte del distributore Lucky Red è stato importante?

“Siamo stati felicissimi della collaborazione con Lucky Red. È una distribuzione estremamente attenta e precisa a questo tipo di cinema e ci siamo affidati completamente a loro per la loro competenza. È stata una strategia premiante: dopo Venezia e il premio sono partiti con poche sale per avere una media copia molto buona e una serie di richieste che hanno fatto aumentare le copie progressivamente, fino ad arrivare a oltre 300 e a una distribuzione capillare”.

Qual è il modello che rende vincente Cinedora?

“Il segreto ancora non ce l’ho, ma posso dire come siamo organizzati. Non è una struttura gerarchica, ma molto orizzontale. Noi soci abbiamo competenze trasversali: io sono produttrice, Maura autrice, Leonardo autore e sceneggiatore, Santiago attore e produttore.

di Maurizio Ermisino