Interviste

Finita l’era delle vacche grasse, o miopia strategica?

Una premessa, siamo pro efficienza. Le aziende devono essere economicamente sostenibili. Ma quanto sta succedendo all’industry della comunicazione non è anche il risultato di una certa miopia strategica?

Ci spieghiamo meglio: le fusioni, i tagli di figure, gli accorpamenti che stanno avvenendo all’interno dei grandi Gruppi certamente rispondono a un mercato che è cambiato e che richiede nuovi modelli organizzativi, ma quello che vorremmo capire è quanto il tutto non sia anche frutto di una certa miopia strategica. Ossia il non saper difendere a spada tratta gli elementi davvero differenzianti che giustificano l’esistere delle diverse sigle. L’importanza quindi del brand, in un certo senso del proprio stile, soprattutto delle persone, della consulenza, della creatività. Ne parliamo con Vicky Gitto, che dopo diverse esperienze tra cui da Ecd in sigle internazionali, nel gennaio 2019 ha fondato la sua GB22.

Il bisogno di trovare un credo

“Io ho il mio punto di vista, che ovviamente è personale, basato sulle mie esperienze. Credo, anche perché li ho vissuti direttamente, che da un lato questo tipo di accorpamenti siano dettati da logiche finanziarie, non strategiche, perché se le cose funzionassero non ci sarebbe motivo di accorpare strutture con storie completamente diverse. Dall’altro, è comprensibile, perché nella maggior parte dei casi le grandi strutture vengono da storie molto lunghe ed essendo che il mercato continua a cambiare a una velocità incredibile, le loro logiche su vasta scala diventano difficilissime da modificare. Ovvio che poi per giustificarle devono trovare un ‘credo’. Ai tempi in cui io mi occupavo di un grande gruppo, il tema era l’orizzontalità, che non ho mai condiviso, infatti ho preso la mia strada. In un’industry come la nostra, coinvolgere tutti nell’accorpamento in nome dell’orizzontalità cozza pesantemente col Dna di questo business, fatto di verticalità, di posizionamenti chiari e di standing.”

Si arretra a favore dei servizi

“Quello che constato è che in generale c’è uno spiacevole arretramento di posizioni da parte di tutto quel mondo che ha rappresentato questa industry a livello globale. Prendono piede e ruolo da protagonisti quelli che invece sono corollari di questo business, ossia tutti gli applicativi digitali, le piattaforme di performance. E così perdiamo valore e talento uniformandoci all’omologazione generale, annacquando la cognizione dei posizionamenti delle differenti strutture. Quando ho iniziato, conoscevi perfettamente il tipo di lavoro che ti poteva dare un interlocutore piuttosto che un altro.”

Un mondo che si divide in due

“Da un lato i grandi gruppi che all’interno hanno sicuramente talenti straordinari, ma vengono annacquati in frullati che omologano tutto. Dall’altro, il fiorile di strutture indipendenti con verticalità importanti e maggiore riconoscibilità. Chiedetevi, da cliente quale vorreste fosse il motivo della scelta della sigla se non il tipo di output che delivera?”

Al centro le persone

“Cerchiamo le persone, perché arriverà il momento in cui i servizi li potremmo avere tutti a qualsiasi condizione da chiunque. L’unica cosa che conterà saranno le relazioni interpersonali con quei visionari che sanno fare la differenza per i brand. Oggi siamo ubriachi di tecnologia e stiamo perdendo il focus principale che è avere interlocutori che usano anche applicativi e tecnologia, ma in un modo che non ti aspetti ribaltando il potenziale dei progetti. Se pensiamo alle realtà più interessanti, più affascinanti del mondo, non ci vengono in mente building o programmi, ma le persone che creano quei successi. Io studio sempre e mi interessa capire la storia di chi fa la differenza, cos’è che li rende costantemente avanti su qualsiasi cosa? Invece ci perdiamo nella bulimia di automatismi e tecnicismi”.

Modelli per il futuro

“Un mondo fatto di grandi strutture per grandi brand, che hanno bisogno di servizi a livello globale (anche se in futuro non è detto saranno monopolio delle grandi), e di realtà indipendenti, snelle, veloci, fortemente incisive, anche perché proprio grazie alla tecnologia allargano la portata della loro possibilità di intervento. Il vero tema saranno le persone, i talenti e la possibilità che trovano nel potersi esprimere. Non il servizio ma la consulenza. Se io fossi in azienda, continuerei a cercare il valore delle persone, perché quando i servizi saranno tutti svolti da automatismi costruiti su Ai e nuovi applicativi, saranno loro l’unica forza differenziante”.

Che ruolo ha in tutto questo la creatività?

“Centrale, ma non solo a livello di studio che si occupa di deliberare progetti creativi, strategici, digitali, lo ha soprattutto nel mondo del business. Le aziende che oggi sono più rilevanti sono aziende che hanno contenuti di creatività altissimi proprio nella concezione dei propri servizi, dei prodotti, dei posizionamenti. E’ folle che la nostra industry abdichi a un valore così basilare”.