Il Far East è nato nel 1999 ed è arrivato all’edizione 27, che va in scena a Udine dal 24 aprile al 2 maggio, al Teatro Nuovo e al Cinema Visionario. Sono occhi curiosi e innamorati, ma anche attenti ai colori, alle sfumature e alle urgenze dell’attualità che arrivano dall’Oriente. 75 titoli (48 in concorso, 27 fuori concorso) provenienti da 11 paesi. Più esattamente, 7 world premiere, 15 anteprime internazionali, 20 anteprime europee e 19 anteprime italiane. È la possibilità di scoprire un cinema che non è facile vedere dalle nostre parti: accanto al cinema d’autore di alcuni Paesi, già conosciuto, c’è il cinema popolare. È una grande occasione per osservare da vicino l’Asia di oggi. Mai come adesso, infatti, il cinema popolare sembra interessato a raccontare il tempo e la società. Ne abbiamo parlato con Sabrina Baracetti, Presidente del Centro Espressioni Cinematografiche e direttrice artistica del Far East Film Festival.
Dalla Corea del Sud con amore
Sarà un piccolo grande capolavoro d’animazione, la love story sudcoreana The Square, a chiudere ufficialmente il Far East Film Festival 27. Una vera e propria immersione dentro la poesia e dentro la bellezza. “The Square è una scelta coraggiosa per il Far East” ci spiega Sabrina Baracetti. “Raramente abbiamo presentato dei film d’animazione perché esistono già dei contenitori che trattano l’argomento. Ma ci è piaciuto perché è un’animazione per adulti e perché il regista è all’opera prima: da qualche anno abbiamo una giuria per le opere prime. II cinema della Corea del Sud sta vivendo un momento molto particolare: l’industria cinematografica aveva raggiunto l’apice poco prima del Covid, in termini di investimenti, creatività, presenza nelle sale, in vent’anni culminati con il premio Oscar per Parasite. Dopo il Covid si sono prodotti meno film, si è puntato a produrre tv, serie e show. Il cinema è rimasto indietro. Questo film ci ha fatto pensare a una rinascita, una speranza per il futuro. Il regista è talentuoso e racconta una storia romantica ambientata in Corea del Nord, una storia tra un diplomatico svedese e una donna del posto. È un film delicatissimo e siamo felici di aver fatto questa scelta”. La Corea, tra cinema, serie e musica, sembra essere il Paese più in grado di creare immaginari e affascinare. “Sulla Corea c’è una sorta di onda che ha raggiunto i giovanissimi italiani” ci spiega la direttrice del festival. “La Corea ha giocato tantissimo sul soft power, e il K-Pop è stato uno strumento internazionale fortissimo per trasmettere gli elementi principali della Corea, come il cibo e il cinema, che è sempre stato importantissimo per le istituzioni coreane. Penso che a livello estetico i coreani abbiano sviluppato uno stile unico, riconoscibile. Ci siamo innamorati di questa dimensione noir che ci ha sempre trasportato in un mondo che non conoscevamo all’inizio e che ci è diventato familiare, spesso legato ai generi, come il gangster movie e l’azione”.
Dalla Cina arriva Green Wave
È il film d’apertura, diretto da Lei Xu, una working class comedy cinese piena di speranza. “La selezione cinese quest’anno spicca sulle altre” ci conferma la direttrice artistica. “La Cina è stata un paese che dopo il Covid si è chiuso in se stesso, ma il cinema è andato avanti e si è ripreso quasi subito, puntando a un pubblico locale. Con le nostre ricerche abbiamo visto questi film e sono assolutamente esportabili. Siamo focalizzati sul cinema popolare e siamo contenti della scelta, in cui ci sono alcuni film di grandissimo incasso. Uno di questi è Upstream di Zheng Xu, che conosciamo come attore comico, e che qui dirige e interpreta un film drammatico. Alcuni temi dell’attualità sono finiti all’interno di questi film mainstream: vedendoli capisci molto di quello che sta accadendo in Cina. Che sembra vicina, ma non lo è. E in questo senso il cinema è uno strumento di conoscenza fortissimo. Upstream racconta il tema dei delivery men, persone che lavorano all’interno della gig economy. È un film che ha generato un dibattito sulla condizione dei lavoratori anche in Cina”.
La condizione femminile in Cina
In Cina c’è anche l’urgenza di parlare della condizione femminile. È un tema di cui ci aveva parlato a Roma anche Jia Zhangke, a proposito di Generazione romantica (che è uscito nelle sale ieri, 17 aprile). Si tratta di Her Story e Like a Rolling Stone, dirette d due registe, Yihui Shao e Yin Lichuan. Sono due storie che parlano linguaggi diversi, quello della commedia e quello del percorso biografico, affrontando il nodo dell’emancipazione femminile. “Avendo visitato la Cina di recente posso dire che il concetto di femminismo e molto più delineato e c’è una consapevolezza più forte non solo nelle grandi città, ma in tutto il paese” ci spiega Sabrina Baracetti. “Lo dimostra il fatto che questi film abbiano avuto un successo clamoroso. Like A Rolling Stone è tratto da una storia vera, quella di una influencer seguita da milioni di follower. Her Story è una cosa più chic, borghese, ambientata in una città metropolitana, Shanghai. Sono due lati della stessa medaglia: quello più popolare e più povero, e una figura più adulta già indipendente”.
Non solo Cina, Giappone e Corea
L’horror indonesiano Mad of Madness, dove la paura guarda in faccia la politica e la società, ci dimostra come il cinema asiatico non sia solo Cina, Giappone e Corea. Abbiamo sempre cercato, nel nostro piccolo, di fare ricerche nel sud est asiatico. L’Indonesia è il quarto paese più popoloso al mondo, ha una cinematografia fiorente, ma dai canoni estetici e narrativi legati alla cultura locale. Mad Of Madness è un rural horror. Ma siamo felici di avere una commedia horror dal Vietnam, dove invece la produzione è molto più piccola, Betting with Ghost di Nguyen Nhat Trung, e un film dalla Mongolia, dove c’è una piccola industria cinematografica: Silent City Driver di Sengedorj Janchivdorj. È il film che, a livello estetico, colpisce di più di tutta la selezione: una revenge story con un protagonista silenzioso, che prende i canoni del cinema di Hong Kong e Corea e li rilegge a modo suo.
Quanto incidono sul gusto le piattaforme?
Una volta il cinema orientale era sconosciuto al grande pubblico. Oggi le piattaforme, seppur con formati diversi come le serie, ci permettono di avere più familiarità con certi stili e linguaggi. “Da parte del pubblico c’è una partecipazione maggiore e una confidenza maggiore” ci confessa Sabrina Baracetti. “All’inizio c’era molto pregiudizio: quando siamo partiti c’erano persone che non si sentivano in grado di apprezzare un film asiatico e vedendo il festival si sono riconciliate con il cinema di quei luoghi. In 27 anni c’è stato un cambio generazionale fortissimo”.
Solo film di grandi autori?
Resta la sensazione che, a livello di distribuzione, arrivino però nelle nostre sale solo i film degli autori affermati. “La distribuzione è un lavoro completamente diverso, lo sperimentiamo ogni giorno con la Tucker Film” ci spiega Sabrina Baracetti. “Come festival ci siamo specializzati su un genere, ma in sala non riusciremmo a portare film come quelli che mostriamo al festival. Ci sono stati dei casi, come Departures, il film giapponese che ha vinto il Far East e come Tucker abbiamo distribuito in Italia. È appena uscito il film di Jia Zhangke. Il nostro lavoro di distributori è complementare a quello fatto con il festival”.
di Maurizio Ermisino