Sempre più spesso i figli degli influencer compaiono – il più delle volte inconsapevolmente – nei contenuti social dei genitori. Terre des Hommes lancia un appello per regolamentare un fenomeno in crescita e tutelare i diritti dei minori, ricordando che “il coinvolgimento dei bambini in contenuti commerciali è una forma di lavoro minorile e come tale va regolata”.
Un tema oggi all’attenzione anche del Senato, dove è in discussione un Disegno di Legge volto a disciplinare la presenza dei minori nei contenuti digitali a fini commerciali, riconoscendo per la prima volta la necessità di tutele specifiche per i più piccoli nell’ambito della creator economy.
L’appello nasce dalla ricerca ‘Protagonisti consapevoli? La tutela dei minorenni nell’era dei family influencer’, condotta da Terre des Hommes Italia in collaborazione con IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria), ALMED – Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il contributo dell’avvocata Marisa Marraffino, esperta di diritto dei media digitali, e la partnership tecnica di Not Just Analytics.
Figli protagonisti (inconsapevoli) dei social
Dalla ricerca emerge un quadro chiaro: la presenza dei minori nei contenuti social dei genitori è ormai sistematica. L’analisi, che ha preso in esame 20 profili di family influencer e 1.334 contenuti pubblicati, mostra che in un post organico su due compare almeno un minore. Anche nei contenuti sponsorizzati la loro presenza è significativa: uno su quattro include i figli in modo diretto o indiretto.
In molti casi non si tratta solo di apparizioni casuali. In circa un terzo dei contenuti pubblicitari, bambini e bambine assumono un ruolo attivo nella promozione: scartano il prodotto, lo mostrano alla camera, lanciano un messaggio pubblicitario. Una partecipazione che, di fatto, li rende parte integrante dell’attività economica del genitore.
Sul fronte della tutela della privacy, però, i dati sono allarmanti. Nella stragrande maggioranza dei contenuti non vengono adottate misure minime di protezione – come pixelature, riprese di spalle o l’uso di emoticon per coprire il volto. Nei post organici tali cautele compaiono solo nel 7% dei casi, e la percentuale scende al 2% nei contenuti pubblicitari, dove la logica commerciale tende a prevalere.
Non solo: nel 29% dei post analizzati sono state rilevate situazioni potenzialmente problematiche rispetto alla privacy e alla dignità dei minori. Nel 21% vengono mostrati momenti di vita privata o intima, come il bagnetto, il cambio del pannolino o la nanna; nel 6% i minori partecipano a trend o challenge; nell’1% vengono ritratti in momenti di rabbia, tristezza o difficoltà. Solo in pochissimi casi, appena lo 0,65%, un bambino si oppone esplicitamente alla ripresa.
Tuttavia, nel 63% dei contenuti i minori compaiono sullo sfondo delle scene, probabilmente senza sapere di essere filmati o fotografati. Anche nel restante 36%, in cui i bambini appaiono consapevoli della presenza della telecamera, non è detto che comprendano davvero le conseguenze di quella esposizione. Per molti, partecipare ai contenuti dei genitori può sembrare un gioco o un gesto di affetto, ma può anche nascondere pressioni sottili: la paura di deludere, di ‘non fare la propria parte’.
Particolarmente preoccupante è il dato sull’età: quasi l’80% dei bambini esposti ha tra 0 e 5 anni, una fascia in cui non si è ancora in grado di esprimere un consenso reale né di comprendere l’uso che viene fatto della propria immagine.
Terre des Hommes: ‘È lavoro minorile, servono regole chiare’
In linea con il Disegno di Legge in esame al Senato, Terre des Hommes propone di equiparare il coinvolgimento dei minori nelle attività social a fini commerciali a una forma di lavoro minorile, soggetta quindi a regole, tutele e controlli. L’organizzazione suggerisce che i contenuti pubblicitari che coinvolgono bambini vengano valutati preventivamente dalla Direzione Provinciale del Lavoro, tenendo conto del tipo di impegno richiesto, delle ore di esposizione e della natura del prodotto promosso.
Inoltre, chiede l’istituzione di un registro ufficiale degli advertising in cui appaiono minori e una collaborazione stabile con lo IAP per fornire pareri tecnici e garantire il rispetto delle norme etiche. Le stesse tutele dovrebbero estendersi anche ai casi in cui i minori non siano protagonisti, ma semplicemente presenti nei contenuti sponsorizzati, indipendentemente dal valore economico delle campagne.
Quando il genitore diventa anche datore di lavoro
“Quando un genitore trasforma il figlio in parte di un’attività commerciale, assume un doppio ruolo: genitore e datore di lavoro, con il rischio di compromettere la fiducia e la serenità dell’infanzia”, spiega Federica Giannotta, Responsabile Advocacy Terre des Hommes.
L’esposizione eccessiva può infatti minare il senso di protezione dei più piccoli e renderli vulnerabili a rischi di adescamento online, pedopornografia o utilizzo improprio delle immagini, spesso accompagnato da informazioni che permettono di identificare luoghi e abitudini familiari.
Università Cattolica: “Serve formazione e consapevolezza”
“I social media hanno aperto opportunità lavorative inedite, ma anche nuove aree di rischio. È fondamentale regolamentare, formare e monitorare, per garantire che i diritti dei minori non vengano compromessi”, sottolinea Elisabetta Locatelli, ricercatrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
IAP: “La tutela dei minori è nel nostro Codice”
“Il Codice di Autodisciplina IAP prevede una tutela specifica per i minori, vietando messaggi che possano danneggiarli psichicamente, moralmente o fisicamente”, ricorda Vincenzo Guggino, Segretario Generale dello IAP.
Gli articoli 10 e 11 del Codice stabiliscono che la comunicazione commerciale deve rispettare la dignità della persona, evitare discriminazioni e proteggere in modo particolare i bambini. Lo IAP ha inoltre firmato un Protocollo d’intesa con l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, rafforzando la collaborazione istituzionale per una comunicazione più responsabile.