Comunicare domani, il prossimo 19 novembre, quest’anno punta su un tema quanto mai cruciale: le remunerazioni. Già l’anno scorso si era aperta la discussione con il lavoro svolto sul costo delle gare che inficiano non poco sulla reddittività interessando trasversalmente l’intera industry, dalle agenzie creative al media, ad eventi ed RP. Peraltro un argomento che coinvolge uniformemente tutto il mondo, complice l’AI, dettando la necessità di trovare nuovi modelli, perché quello orario non risponde più alla valorizzazione del lavoro nelle agenzie.
Valentina, so che a tal proposito le argomentazioni sono suffragate dai dati di una survey UK, ma che anche qui in Italia UNA ha fatto un’indagine interna verificando più o meno analoga situazione. Non ti chiedo di spoilerarne i risultati, ma di darci magari due evidenze sintomatiche, così che, in attesa del 19 novembre, dove presso il Meet di Milano alle ore 17 si svolgerà Comunicare Domani, ognuno possa iniziare a far lavorare le sue debite riflessioni.
Esatto, quest’anno abbiamo scelto di affrontare apertamente il grande elefante nella stanza: il tema della remunerazione delle agenzie. Lo facciamo dando continuità al lavoro avviato da Marianna e da tutto il Centro Studi lo scorso anno sul costo delle gare, ma con l’obiettivo di ampliarne il respiro. È una questione che riguarda l’intera industry, trasversalmente a ogni disciplina della comunicazione e in ogni area geografica. Non possiamo più far finta di nulla: negli ultimi quindici anni le fee delle agenzie si sono progressivamente ridotte, mentre inflazione, crisi economiche e dinamiche di mercato continuano a crescere. Ma non è solo un problema macroeconomico: c’è anche una responsabilità interna al settore, che non sempre è riuscito a comunicare con chiarezza il proprio valore. Un dato su cui riflettere: solo il 27% delle agenzieritiene di ricevere una remunerazione ‘equa’ per il lavoro svolto.
Eppure, il punto non è la mancanza di alternative — il 54% delle agenzie ha già sperimentato nuovi modelli di remunerazione — ma una resistenza culturale al cambiamento, che riguarda tanto le agenzie quanto i clienti. La differenza, oggi, la farà la capacità di rimettere al centro il valore, non solo il costo. E in questo contesto l’intelligenza artificiale agisce da potente acceleratore: non necessariamente negativo, ma comunque dirompente. Ci impone di ripensare i modelli, ridefinire le competenze e, soprattutto, riallineare la percezione del valore della consulenza creativa rispetto al suo impatto reale sul business dei brand.Ammettere i limiti e le responsabilità del settore, per me, è sempre il primo passo per trovare soluzioni concrete e sostenibili.
Ho detto ognuno perché l’ottica deve essere sistemica. Non nascondiamoci dietro il dito, in causa siamo chiamati tutti. Le agenzie che spesso pur di prendere il lavoro abdicano al valore della loro consulenza, i procurement delle aziende, che è vero, hanno stilato il vademecum del ‘the best affordable quality’ ma ci chiediamo in quanti siano davvero in grado di capire i budget di comunicazione, i ceo e il marketing delle aziende, che spesso sottovaluta il potere della qualità, così come il valore della creatività, e pure i proclami di purpose sociali, perché se strozzi i partner vorrei capire come puoi definirti responsabile socialmente… e vengo alla domanda, la sensazione è che se la si canti e suoni, insomma, finita la giornata i temi vengono riposti nel cassetto. Ma il cambiamento avviene se ogni giorno si semina , se si cambia la cultura, se si fa crescere la propria autorevolezza e rilevanza. Valentina, come proseguirà l’opera per arrivare a un cambiamento che sia davvero win win per tutti?
Hai perfettamente ragione, ed è proprio ciò che abbiamo voluto evitare sin dai primissimi giorni di progettazione dell’evento. Quando, poco dopo il mio insediamento come presidente del Centro Studi di UNA, ho proposto a Davide (Arduini presidente UNA) di affrontare questo tema, ci siamo trovati subito d’accordo su un punto: non doveva restare un esercizio di stile, ma tradursi in una presa di posizione concreta da parte dell’associazione. È un argomento complesso e delicato — inutile ricordare che coinvolge anche aspetti legati all’antitrust — ma crediamo che ci sia spazio per interventi migliorativi e responsabilità condivise.
Questo è certamente un tavolo più affine a Davide e al Consiglio, ma stiamo già ragionando insieme su azioni concrete di formazione e sensibilizzazione, rivolte in particolare agli auditor e ai team di procurement delle aziende, che giocano un ruolo chiave nella definizione del valore del nostro lavoro. Inoltre, stiamo valutando la stesura di una ‘Carta dei Valori’, da attivare e aggiornare nel tempo, per evitare che resti nel cassetto dei buoni propositi.
L’obiettivo è costruire un impegno continuativo, capace di orientare comportamenti e relazioni all’interno dell’intera filiera della comunicazione, e restituire dignità e riconoscimento al valore delle competenze.
Entriamo nel merito dell’AI. Io sto passando per una detrattrice, ma in realtà inorridisco quando la sento osannata a fine, anziché essere vissuta come strumento, utilissimo, ma non senza ma e se. Che poi, in quanto strumento tecnologico, ovviamente per sua natura omologa, quindi la differenza la fa chi la utilizza, la sua preparazione, sensibilità, sapere. Insomma il suo senso, non i simboli attraverso cui poi lo esprime. Come si può misurare il valore sulla base del tempo che ci si mette a realizzare? Il tempo è una variabile che riassume tutta l’esperienza, la capacità, il talento che si hanno, o meno, accumulato nella propria professione. Quindi, sempre di più la remunerazione sarà anche una questione di capacità, sempre meno commodity e sempre più valore differenziato e che differenzia le realtà di comunicazione?
Ci sono alcune citazioni che trovo particolarmente efficaci per spiegare questo tema. La prima è attribuita a Pablo Picasso. Si racconta che un giorno, mentre disegnava in un parco, una donna lo riconobbe e gli chiese con entusiasmo di farle un ritratto. Picasso accettò, la osservò per pochi secondi, poi tracciò un unico, rapido segno con la matita. Quando le mostrò il disegno, la donna esclamò: “È perfetto! Hai catturato la mia essenza in un solo tratto! Quanto ti devo?”. “Cinque milioni di franchi”, rispose l’artista. “Cinque milioni? Ma ci hai messo solo qualche secondo!” protestò lei. E Picasso, con calma: “Madame, ci ho messo tutta la vita per imparare a farlo in pochi secondi.” La seconda citazione viene spesso attribuita a Bill Gates: “Se riesco a fare un lavoro in 30 minuti è perché ho speso 10 anni per imparare come farlo in quel tempo. Mi stai pagando per i 10 anni, non per i 30 minuti.” Questi due aneddoti – pur appartenendo a epoche e contesti diversissimi – raccontano una verità comune: la fragilità di ogni modello remunerativo basato esclusivamente sulla quantità di tempo impiegata.
Se continuiamo a misurare il valore solo in base alle ore lavorate, inevitabilmente l’intelligenza artificiale diventerà una minaccia, perché ridurrà drasticamente i tempi di esecuzione e con essi, apparentemente, anche il ‘valore’ percepito del nostro lavoro. Ma se cambiamo prospettiva, l’AI può diventare un alleato prezioso, non un nemico: può aiutarci a misurare con maggiore precisione l’impatto reale del pensiero, della strategia e della creatività.
In fondo, come diceva Steve Jobs, ‘il computer è la bicicletta per la mente’ — uno strumento che amplifica le capacità umane, così come la bicicletta amplifica la nostra mobilità. E se l’intelligenza artificiale fosse, in fondo, il motore di quella bicicletta? Non un sostituto dell’uomo, ma un acceleratore della sua capacità di generare valore.
Ci racconti cosa ci dobbiamo aspettare da questo Comunicare Domani quale la scaletta e il tenore degli interventi?
Mi auguro che quest’edizione di Comunicare Domani sia inaspettata e di grande valore. È un auspicio, certo, ma anche lo spirito con cui stiamo costruendo l’intero evento. L’obiettivo è offrire una prospettiva nuova, capace di stimolare una riflessione autentica sul futuro del nostro settore e sul valore che le agenzie generano ogni giorno. Dopo l’apertura dei lavori da parte di Davide, prenderò la parola per una breve introduzione sul tema della remunerazione delle agenzie, condividendo anche alcuni dati inediti emersi dalla survey condotta di recente tra le associate UNA. Seguirà l’intervento del professor Lucio Lamberti del Politecnico di Milano, che offrirà uno sguardo macro e socio-economicosull’impatto che l’intelligenza artificiale sta avendo – e avrà – sul costo dei servizi e sulla trasformazione del mondo del lavoro. Poi sarà la volta di Tim Williams, fondatore di Ignition Consulting Group, consulente di riferimento a livello internazionale sui modelli di remunerazione delle agenzie e collaboratore delle principali associazioni di settore nel mondo. Nel suo intervento, Tim approfondirà l’impatto dell’utilizzo sempre più esteso dell’intelligenza artificiale nei processi d’agenzia, analizzando come stia ridefinendo il rapporto tra valore, tempo e creatività. Il momento centrale sarà però la tavola rotonda con le aziende: Alessandra Giombini, Marketing Communication Manager IKEA, Carlo Colpo, Chief Marketing Officer Lavazza Group, ed Eligio Catarinella, SVP Sales & Marketing Enlarged Europe Stellantis. Tre brand iconici, appartenenti a settori completamente diversi, ma accomunati da una profonda attenzione al tema del valore nella relazione con le agenzie. Sarà l’occasione per capire concretamente come le aziende – e in particolare i CMO – possano incidere nel ridefinire il concetto stesso di valore nella filiera della comunicazione. Chiuderemo insieme a Federica Setti con la presentazione delle stime di mercato 2026, prima dei saluti conclusivi di Davide, che rappresenteranno anche la presa di posizione ufficiale di UNA sul tema.
Con la comunicazione si possono cambiare le cose. La nostra industry può cambiare pelle vestendo il futuro ma accreditando il proprio valore?
Fai questa domanda a una persona che ha scelto questo lavoro – e questo settore – con la convinzione profonda di poter avere un impatto reale. Quindi sì, da me riceverai sempre un ‘sì’, finché davvero non ci saranno più speranze. Ma prima di tornare a sognare di cambiare le cose, dobbiamo cambiare noi stessi. Per noi stessi.
Credo fermamente che sia possibile. Innanzitutto perché, storicamente, l’industry della comunicazione ha sempre avuto un peso specifico nella creazione del valore: non si tratta di inventare qualcosa di nuovo, ma di recuperare ciò che abbiamo perso per strada — la consapevolezza e la fierezza del nostro ruolo. In secondo luogo, perché esistono modelli che dimostrano che è possibile. Penso al mondo della consulenza: a parità di contesto macroeconomico, è riuscito a preservare la percezione del valore generato, continuando a essere riconosciuto e remunerato per il suo contributo strategico. Credo che UNA possa e debba giocare un ruolo decisivo in questo percorso. Se sapremo rimettere al centro il valore del nostro lavoro, si attiverà un circolo virtuoso: più qualità nelle persone che attrarremo, più qualità nei progetti che realizzeremo, più valore per l’intera filiera. È un processo che richiede tempo, coerenza e coraggio. Ma, in fondo, è proprio questo il mestiere di chi comunica: dare forma al cambiamento, a partire da sè stessi.
di monica lazzarotto