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Come cambia la comicità? Dalla crisi del maschio a Zalone e Duro. Ma oggi il cinema è donna

“Comicamente etici: come è cambiato l’umorismo dagli anni 80 a oggi” si è svolto ieri all’Università Luiss Guido Carli a Roma l’incontro dedicato alla genesi della comicità, ospite d’eccezione: Carlo Verdone

“Il mondo ha sempre riso delle proprie tragedie ed è questo l’unico modo in cui è riuscito a sopportarle”. Parole sante quelle di Oscar Wilde, che non a caso hanno introdotto una vera e propria lectio magistralis di quasi un’ora di Carlo Verdone sul significato della comicità per il nostro Paese e per noi come persone. Che diventi o meno patrimonio immateriale dell’Unesco, come vuole una recente proposta che arriva dalla politica, la commedia ci fa bene non solo perché ci allieta e ci aiuta a sopportare le cose, ma soprattutto perché, quando è fatta bene, ci aiuta a guardarci dentro, a vedere le nostre fragilità, ad affrontarle come una sorta di terapia. Dopo la stagione della Commedia all’Italiana degli anni Sessanta che metteva alla berlina vizi e contraddizioni della società italiana, che parlava di noi come Paese, l’entrata in scena, nei primi anni Ottanta, di Carlo Verdone e dei “malincomici” come Massimo Troisi, Francesco Nuti e Roberto Benigni, ha cominciato a porre l’attenzione più sull’individuo e le sue debolezze.

Anni Ottanta: la crisi del maschio

“Io, Nuti, Troisi e Benigni: che cosa abbiamo raccontato negli anni Ottanta?” si chiede Carlo Verdone. “La crisi del maschio, quello degli anni Sessanta, rimorchiatore. Il femminismo negli anni Settanta aveva cambiato tutto. Io e Massimo, soprattutto, eravamo soli, persone che avevano di fronte a noi un personaggio che non sapevamo più chi fosse. Eravamo nell’angolo a prendere cazzotti da una donna che era un oggetto misterioso”. Per gran parte degli anni Ottanta il cinema di Verdone e degli altri comici ha raccontato le nostre fragilità. È stato un discorso iniziato dai primi film di Verdone, Un sacco bello e Bianco, rosso e Verdone, proseguito con il fondamentale Borotalco e Acqua e sapone, fino a Io e mia sorella, dove il discorso si è allargato alle dinamiche familiari.

Il disagio dei rapporti familiari

La fragilità nei rapporti tra uomo e donna è diventata un discorso più ampio, legato proprio al fallimento delle unioni, delle famiglie. “Ho cominciato a sentire una sorta di disagio nei rapporti familiari” ci rivela Carlo Verdone. “Come nasce Compagni di scuola? Attraverso l’analisi della realtà: aprivo la mia agenda e tutti i miei amici sposati erano separati. Avevano un numero doppio: il numero della madre o del padre di lui, di quello di lei. Cominciavano a separarsi le coppie”. Compagni di scuola nasce da una reale serata tra ex compagni di classe.  E dall’idea di fare un film corale, generazionale, sul modello de Il grande freddo. Difficile da far digerire a un produttore come Mario Cecchi Gori. “18 personaggi? Ma siete pazzi, qui quando si ride?” disse infatti tirandogli il copione in faccia.  “Compagni di scuola è una bella radiografia delle fragilità, dei i tormenti e delle solitudini dei personaggi”. È anche il primo film in cui valorizza altri attori.  “Feci un passo indietro e mandai avanti altri attori che dovevano far ridere” spiega. “È giusto che le battute migliori le avessero Angelo Bernabucci e Christian De Sica”.

La comicità televisiva e i dialetti

Ma negli anni Ottanta arriva un altro fenomeno. È la comicità che arriva dalla televisione, e da trasmissioni come Drive In, sulle tv Fininvest. Anche Verdone, anche se veniva dai teatri off, era nato con la tv, con Non Stop di Enzo Trapani. “Ma quelli di Drive In non erano i personaggi di Trapani, erano comici come Ezio Greggio, Enzo Iacchetti, era un altro tipo di comicità” spiega Verdone. Da quel momento la televisione continuerà a spedire al cinema personaggi nuovi. “Con la Gialappa’s Band, negli anni Novanta, la comicità non sarà più romana”. La risata arriverà da varie regioni e con vari dialetti.  “Attenzione” fa notare però il regista romano. “Il dialetto aiuta la comicità, ma nello stesso tempo è un limite per la vendita all’estero dei nostri film: la battuta in dialetto, tradotta in italiano per un pubblico francese o tedesco, non funziona. Le commedia che hanno avuto maggior successo sono quelle dove non c’è il dialetto, ma in cui il soggetto è internazionale”.

Anni Novanta: la commedia è da Oscar

La svolta avviene negli anni Novanta. Quando la commedia viene finalmente nobilitata. “Fino ad allora era stata un genere sempre in panchina, sempre usato per fare i soldi, per darli ai produttori per fare i film d’autore” riflette Verdone. “Ma nel 1992 Mediterraneo vince l’Oscar. Ed è una commedia: con una tragedia dietro, ma è una commedia. Nel 1999 Benigni vince un altro Oscar con La vita è bella, una commedia. La vogliamo chiamare tale? Ha avuto successo e ha diviso molto. Ma Roberto ha avuto una tale grazia, la scrittura di Cerami è stata molto delicata. È come una favola, come raccontare a un bambino delle elementari questa tragedia”.

Anni Novanta: la commedia e l’analisi

“A-na-li-si”. Ricordate l’amica di Bernardo Arbusti, alias Carlo Verdone, in Maledetto il giorno che ti ho incontrato? Gli anni Novanta di Verdone si aprono con quel film molto particolare, ancora oggi uno dei suoi migliori. “Soni stati gli anni della fragilità nostra” spiega l’attore. “In tutte le commedie c’era il tema dell’analisi: io stesso ci andavo perché non dormivo. Maledetto il giorno che ti ho incontrato è l’incontro tra due poveri nevrotici dallo psicanalista. È il film in cui mi allontano finalmente da Roma, dal dialetto romano, giro tra Milano, Londra e la Cornovaglia. Scelgo un’attrice poco mediterranea come Margherita Buy”. Certo, sul tema in Italia siamo piuttosto in ritardo: Woody Allen lo aveva raccontato già negli anni Settanta. “La comicità va sui nostri tic, sulle famiglie allargate” continua. “Non abbiamo più i temi degli anni Sessanta: tutto è nell’appartamento, negli scontri generazionali, in quelli marito-moglie. Sul tema, a inizio anni Duemila, Verdone girerà anche Ma che colpa abbiamo noi e L’amore è eterno fin che dura, che possono stare tra i suoi lavori migliori.

Anni Novanta e Duemila: i Cinepanettoni

Gli anni Novanta e i primi Duemila sono anche gli anni di quel fenomeno chiamato Cinepanettone, le immancabili commedie di Natale. “Non sono da condannare, ma da trattare con benevolenza” è il parere del regista. “Non è il mio genere, capisco chi ci va e si vuole divertire per un’ora e mezza. Il Cinepanettone è stato un brand: faceva incassi spaventosi, vicino a quelli di Adriano Celentano negli anni Ottanta”. Fateci caso, i primi Duemila sono quelli in cui i film erano tutti corali: i film natalizi, i film a episodi, come i tre Manuale d’amore e Italians di Veronesi, i quattro film a cui Verdone ha partecipato solo come attore, gli ultimi insieme a La grande bellezza di Sorrentino. Sono arrivati Ficarra e Picone, “con una comicità fiabesca, un’osservazione della realtà in maniera infantile, ma intelligente”. “Ma mancava il comico unico, com’era stato Celentano e come eravamo noi”.

Checco Zalone, Angelo Duro e il politicamente scorretto

E poi negli anni Dieci cambia tutto. Arriva proprio quel comico unico, il mattatore capace di prendersi la scena e di sbancare il botteghino. È Luca Medici, alias Checco Zalone. “Con Cado dalle nubi, Sole a catinelle, Quo vado riesce a fare risultati spaventosi” analizza Verdone. “Portava una comicità nuova. Com’è cambiata? Noi non siamo mai stati scorretti, abbiamo fatto una commedia moto attinente alla realtà. Checco Zalone e ora Angelo Duro, l’unico nuovo comico venuto fuori, con Io sono la fine del mondo, riescono ad essere scorrettissimi nel momento in cui sta per arrivare il polically correct dall’Inghilterra e gli Usa. Ci possono piacere o no, ma Zalone ha una fine intelligenza e mi fa ridere”. Certo, sono due casi di politicamente scorretto molto diversi: quello di Checco Zalone è sempre legato a un ribaltamento di prospettiva e uno smascheramento dei vizi, quello di Duro (Verdone ammette di non aver ancora visto il suo film) a noi sembra uno scorretto più fine a se’ stesso.

Il politically correct e la volgarità

Ma, a parte Checco Zalone, che fa storia a sé, è una tendenza che non è destinata a durare. “Non ci sarà più tanta volgarità nelle commedie, secondo me” riflette Verdone. “Quelli che parlano di politically correct in parte hanno ragione, in parte in realtà non riescono a decontestualizzare e dicono fregnacce enormi. Si parla di bruciare le commedie di Shakespeare, di Gogol, di Tolstoj, che Dante Alighieri va bannato. Ma che cosa state dicendo? Sono mode intellettuali, se le vai a spiegar al pubblico non le capisce. Ci vuole rispetto per le minoranze, per le donne, dobbiamo porci con rispetto nel momento in cui scriviamo”.

Paola Cortellesi: in Cina è boom. Verdone plaude a l’arte della Gioia della Golino

C’è una cosa di cui oggi Carlo Verdone è sicuro. “È il cinema delle donne. Quasi tutte le nostre attrici hanno girato un film. La serie L’arte della gioia di Valeria Golino mi è piaciuto tantissimo”. E ci racconta che C’è ancora domani, il film di Paola Cortellesi, è appena uscito in Cina, dove ha fatto il boom. “Paola è stata eroica” commenta. “Il film è bello, una commedia che fa ridere, ma ha anche un contenuto: il problema delle donne, del diritto al voto, è un film di grande dignità”. Come saranno i nostri film nel futuro? “Speriamo di fare sempre di più film internazionali. Ci vogliono temi che sentono in tanti, l’anima vera, la verità. Dobbiamo raccontare le nostre fragilità con molta delicatezza e molto tatto”.