“I professionisti di marketing hanno grande consapevolezza del momento cruciale che stanno vivendo (voto 9/10), ma bassa capacità di ‘re-direzione’ (cioè di affrontare il cambiamento necessario che si profila all’orizzonte), con un voto medio inferiore al +5”, ha esordito Federico Capeci, CEO Spain & Italy di Kantar nel suo intervento ‘Intersections Lab2030: AI for the future of marketing’ nella prima giornata milanese del’evento.
“L’errore da evitare è considerare l’IA solo come uno strumento”, ha proseguito nell’analisi, “l’AI è un’entità decisionale e un ‘talent’ che va formato e integrato come un collega, a volte di pari livello, a volte subordinato, a volte addirittura superiore funzionalmente”.
La trasformazione del branding e del marketing
Per trasformare l’AI in un vantaggio competitivo, le aziende devono prendere decisioni strategiche su cinque aree principali: strategia di brand, di persone e dei consumatori, oltre ovviamente alla strategia tecnologica e a quella dei dati.
Per la prima, il posizionamento chiaro e differenziante del brand deve essere il fattore guida di tutta la trasformazione tecnologica. La strategia di brand deve guidare la piattaforma tecnologica e tutta la trasformazione in atto, non viceversa. C’è il pericolo che l’eccessiva personalizzazione basata sull’IA porti a figure di consumatori stereotipate e ‘tutte uguali’ tra loro. Il marketing così, agendo in tempo reale, rischia di distrarsi dal suo ruolo più ambizioso: capire i desideri delle persone e agire in funzione del suo ruolo di cambiamento culturale.
Ma anche il marketing cambia: i CMO (Chief Marketing Officer) sono destinati a diventare ‘Marketing Engineers’, che si occuperanno in primis di disegnare i processi e le governance. comprendendo a fondo quali dati ‘devono’ essere a disposizione e per loro la tecnologia dovrà essere nativa. In questo scenario operativo sfidante, sono stati identificati due nuovi profili che si stanno immettendo nel mercato: gli enablers (cioè le persone deputate a facilitare e attuare la trasformazione all’interno dell’azienda) e gli advisors, i guardiani del brand, che mantengono la coerenza e la visione del marchio. Ciascuna azienda deve definire la propria governance per l’integrazione tra uomo e macchina e la strategia verso persone sintetiche (come i bot o le interfacce AI).
Imperativo avere una visione davvero strategica
Questa strategia impone una visione strategica sul consumatore, al di là delle metriche immediate, per definire un fattore competitivo di lungo periodo. Il marketing non deve pensare solo a ‘come cambiare’ il consumatore, ma a che cosa si possa fare di più e di meglio per il soddisfarlo. Gli obiettivi dovrebbero essere migliorare la customer experience, fare iniziative di commerce attrattive e realizzare innovazioni dirompenti.
“È necessaria una visione più strategica che diventi il fattore competitivo di vantaggio”, ha precisato Capeci. “Le aziende più prospere saranno quelle che avranno una propria visione strategica specifica che non seguirà l’offerta tecnologica, ma la guiderà”.
“Una paura distopica è che il consumatore non avrà più bisogno del brand, utilizzando la propria piattaforma AI per prendere decisioni”, ha concluso. “In questo scenario, le aziende potrebbero finire per targettizzare l’Intelligenza Artificiale stessa del consumatore invece del decisore in prima persona. E questo rischia di essere ancora più vero in un mondo ‘agenziale’ dove le decisioni ultime – di acquisto ma non solo – vengono via via delegate agli agenti creati dall’AI, interponendo un ulteriore ‘strato’ tra il brand e il consumatore”.
di Massimo Bolchi