Marketing

Un consumatore su due non è fedele a un brand. Ed è un problema

Il dato spicca prepotente dalla prima edizione della ricerca ‘Brand Connection - The Age of Meaningful Brands’, a firma Deloitte. Ma di certo non sorprende. Da tempo l’allarme era stato lanciato. Complice il digitale, che con l’AI schiaccia l’acceleratore, emerge solo chi ha una forte identità
Andrea Laurenza
Andrea Laurenza

Che, non ci si stanca mai di sottolinearlo, si costruisce guardando con strategia e coerenza al lungo. Diversi gli interventi che lo hanno ribadito, ieri a Milano, durante la presentazione dei dati della ricerca. Tra loro Toni Belloni, Presidente di LVMH Italy & Strategic Advisor LVMH Group CEO, e Lorenzo Bertelli, CMO & Head of CSR del gruppo Prada. Rappresentanti di due modi differenti di guardare al lusso e alla costruzione di un’equity di marca distintiva. Un grande Gruppo, con ben 75 marche, e un Gruppo che, pur dettando legge nel mondo, resta familiare, perché, dice Bertelli: “tante aziende non saranno mai brand. La gestione familiare consente una visione di lunghissimo periodo”. Che però non significa accreditare il vecchio mantra italiano ‘small is good’, perché le dimensioni contano, soprattutto oggi, dove gli investimenti in innovazione diventano basilari per anticipare un mercato che corre, cambia, ed è globale, seppur non più globalizzato, nel senso che torna a chiedere attenzione e differenziazione locale, rendendo il gioco sempre più difficile.  Senza dimenticare la sostenibilità, che, come vedremo anche dai dati emersi, è sì ambientale, ma in tal senso diventa quasi condizione sine qua non. Il consumatore, infatti, inizia a chiedere quella sociale, in termini di attenzione all’uomo, alle relazioni, al benessere condiviso. Con la nota dolens di un lusso che ha alzato forse un po’ troppo il tiro. Insomma il tema della forbice sociale è un problema, sia perché i super ricchi non si sentono più così sereni nell’ostentare, ma anche perché è forse miope sottovalutare il potere di quella base larga (ceto medio) che una volta considerava certi acquisti che poteva permettersi una tantum un reale appagamento, mentre oggi è costretta a prenderne le  distanze, arrivando a volte a farne anche una questione etica. E certi scandali di certo non fanno bene alla reputazione del comparto, che ammette la necessità di controllare maggiormente l’intera filiera. Il tutto concludendo con un inno alla capacità artigianale e al suoi valore nel nostro paese. Tanto che tornare a rendere i percorsi di studio del saper fare attrattivi per i giovani diventa un obiettivo, come dimostra il progetto Altagamma ‘Adotta una scuola’.

Brand loyalty in crisi: un consumatore su due è pronto a cambiare

La relazione tra persone e marchi si fa sempre più fragile. Nonostante la fiducia generale nei brand sia cresciuta negli ultimi anni, la fedeltà non è più un valore scontato: il 45,7% dei consumatori dichiara di non sentirsi legato a nessun marchio e mostra una forte propensione al brand switching. “Il fenomeno del ‘brand love’ resta attuale, ma la brand relevance non è un attributo statico: è un capitale che deve essere costantemente alimentato”, spiega Andrea Laurenza, Consumer Industry Leader di Deloitte Central Mediterranean, presentando i risultati della ricerca.
La sfida per le aziende è dunque mantenere viva la relazione, in un contesto dove la fiducia si conquista giorno per giorno e la coerenza di valori diventa il vero collante.

La fiducia cresce, soprattutto tra i giovani

Nonostante la volatilità, la fiducia complessiva verso i brand è in aumento. Negli ultimi cinque anni è cresciuta del 43,1% verso le attività locali, del 39% verso i marchi di nicchia e del 36,9% nei confronti dei grandi brand.
A trainare la ripresa sono i giovani: il 51% si fida oggi dei marchi di nicchia (48,1% cinque anni fa) e il 58,2% dei grandi brand (contro il 46,6% di cinque anni fa).
“I brand più piccoli hanno saputo rafforzarsi maggiormente, grazie a identità chiare, narrazioni autentiche e relazioni dirette con il pubblico”, commenta Laurenza.

Brand Relevance: i brand sanno ancora far sognare

Per il 60% degli intervistati il brand continua a rappresentare una garanzia di qualità e affidabilità, fungendo da punto di riferimento per decisioni rapide e sicure (52,3%). Rimane, inoltre, una dimensione aspirazionale, capace di alimentare immaginario e desiderio: i consumatori riconoscono che i brand sanno ancora far sognare (54,8%). La frequenza d’uso e l’inserimento nei contesti quotidiani contribuiscono alla creazione di una connessione emotiva più profonda (52,1%), trasformando il marchio in una presenza familiare e significativa nella vita di tutti i giorni.

Utilità pratica, autenticità e qualità

La brand connection rappresenta valore pratico quotidiano per il 62% degli intervistati, risonanza emotiva per il 57.3%, generando un senso di comunità e appartenenza per il 55,8%, di valori condivisi per il 55,1% e di nuove esperienze di scoperta per il 51,5%. Il driver principale della connessione è la rilevanza nella vita quotidiana: i consumatori apprezzano i brand che semplificano la vita quotidiana (63,8%), che garantiscono qualità (63,6%) e che dimostrano autenticità e fedeltà ai propri valori (62,2%). In Europa, soprattutto, la connessione con i brand è prevalentemente funzionale e pragmatica: come driver di scelta prevalgono la rilevanza quotidiana (71,1%), l’autenticità (68,4%) la qualità (67,7%) e l’affidabilità (65,5%).

Nostalgia marketing: i brand preferiti sono quelli legati ai bei ricordi

Sul fronte della risonanza emotiva, i brand più amati sono quelli che sanno evocare bei ricordi (60,5%), intrattenere (58,4%) e contribuire al benessere e alla salute emotiva delle persone (56,9%). La componente emozionale è particolarmente importante negli Emirati Arabi (77,7%), in Cina (66,3%) e negli Stati Uniti (66,1%), dove il brand diventa parte integrante dell’identità individuale e collettiva. Anche in Giappone, nonostante la tendenza generale a risposte più contenute, la sfera emotiva emerge come la leva più rilevante: qui il brand viene apprezzato per la capacità di accompagnare con discrezione momenti di vita e garantire affidabilità.

I marchi come simbolo di identità

I consumatori riconoscono valore nei brand che ascoltano attivamente i clienti (60,6%) e che fanno sentire ciascuno apprezzato e unico (56%). Questo elemento, insieme alla componente emotiva, è particolarmente rilevante tra i giovani 18-34 anni (58,5%), per i quali il brand è anche un canale di appartenenza sociale e di inclusione in una community di riferimento. La connessione, poi, si rafforza quando il brand è percepito come autentico e coerente, ma anche quando diventa uno specchio valoriale del consumatore (56,3%), aiutandolo ad esprimere la propria personalità e i propri principi (54%). Il legame si intensifica laddove il brand suscita orgoglio nell’uso (53,5%), generando riconoscimento identitario.

Customer Experience: competenza, efficienza ed empatia

Il ruolo del personale rimane primario nel rafforzare il legame tra brand e consumatori: i clienti cercano competenza, empatia e supporto, soprattutto in mercati dove il contatto umano fa ancora la differenza, come negli Usa (30,6%), l’Italia (29,5%), il Regno Unito (28,8%). Negli Emirati Arabi, invece, è l’accessibilità e la rapidità la base per costruire un legame. Inoltre, in Europa, soprattutto nel Fashion & Luxury (33,2%) e nel Food & Beverage (28,9%), si dà molta importanza a pagamenti, consegne e processi di reso rapidi: qui i consumatori vedono nella fluidità del last mile un indicatore importante della qualità del brand. Sul piano generazionale, gli over 55 cercano interazioni umane rassicuranti, mentre i più giovani (18-34) privilegiano la semplicità dei pagamenti e la fluidità di consegna e rimborsi.

Fidelizzazione e mondo digitale

La facilità di accesso digitale ai prodotti e servizi è il driver più importante (44%) in tutti i settori e nella maggior parte delle geografie. Usa e Regno Unito guidano questa esigenza con dei picchi nel Food & Beverage (Usa 52,9%; UK 55,4%) e nel Turismo (Usa 53,3%; UK 61,3%). Rispetto all’Europa (25,9%), l’Asia (32%) mostra una propensione superiore verso tecnologie innovative ed esperienziali: in questi paesi la gamification e l’uso della realtà aumentata sono più importanti perché i consumatori, soprattutto giovani, vivono lo shopping come intrattenimento e sono abituati a ecosistemi digitali che integrano gioco, socialità e acquisto. Infine, Emirati Arabi (29,3%) e Cina (30,6%) mostrano anche più interesse per chatbot, strumenti di AI, assistenti vocali.

Social commerce: il 56% in Italia vuole acquistare prodotti o servizi tramite i social media

Nell’ambito delle piattaforme digitali (social media, metaverso, etc) le promozioni esclusive o le esperienze interattive sono ritenuti gli aspetti più importanti per rafforzare il legame con il marchio (rispettivamente per il 60% e il 57% dei consumatori). Il social commerce ha maggiore rilevanza in Europa, soprattutto in Francia (57,6%) e Italia (56,6%), dove oltre la metà dei clienti si aspetta di poter acquistare prodotti tramite i social. Lo storytelling e il contenuto emozionale sono più apprezzati in Asia (Giappone 52% e Cina 49,4%), ma anche in Italia nel settore Food (56,4%). La comunicazione tramite influencer è rilevante soprattutto per i giovani (18-24 anni 40% e 25-34 anni 42%) e risulta centrale negli Emirati Arabi (47,3%), Cina (47,3%) e USA (42,2%), più marginale in Europa (28%).

“Essere rilevante per un brand significa occupare uno spazio autentico e significativo nella vita delle persone, entrando in risonanza con i valori, i bisogni e le emozioni del proprio pubblico. La rilevanza nasce dal senso di appartenenza, dall’idea che quel marchio “capisca” qualcosa di noi – un modo di vivere, un desiderio, un punto di vista sul mondo”, ha sottolineato Laurenza. “L’autenticità – cioè la capacità di restare fedele alla propria identità anche quando cambia il contesto – costruisce fiducia e rispetto, due ingredienti fondamentali per restare nel tempo. E la vera rilevanza si conquista quando un brand non si limita a vendere, ma partecipa alla conversazione culturale. Quando diventa parte dell’immaginario collettivo o contribuisce, anche in modo sottile, a cambiare prospettive, abitudini o sensibilità. Perché dietro ogni brand ci sono persone, e sono quelle che gli danno calore, empatia, vulnerabilità. Un brand che ammette i propri errori, che comunica con onestà, che fa scelte chiare – anche impopolari – resta credibile”, ha concluso il Consumer Leader di Deloitte.

di Monica Lazzarotto