“I see you”, “Io ti vedo” era una delle frasi chiave di Avatar, il film di James Cameron che, nel 2009, ha scritto la Storia del cinema. In quel “io ti vedo” non c’era solo un vedere fisico, letterale, ma un capire, un sentire, un leggere dentro. E per noi è stato così. Cameron è riuscito a tratteggiare così bene i suoi personaggi da farci entrare in empatia con degli esseri lunghi e blu e da farci palpitare per loro come se fossero reali. In realtà lo sono: come sapete, grazie alla performance capture le figure sono sì create al computer ma sulla base del movimento e delle espressioni di attori umani. E così i Na’vi di Avatar, gli abitanti di Pandora, ormai li “vediamo”. Li conosciamo e sappiamo cosa provano. Cameron ci riporta di nuovo su Pandora, con il terzo film della saga, Avatar: Fuoco e Cenere, al cinema dal 17 dicembre. È sempre lo stesso film, e allo stesso tempo è qualcosa di nuovo. “Le emozioni sono espresse in maniera ancora più profonda” ha raccontato Sam Worthington, il protagonista Jake Sully, ex marine diventato uno dei Na’vi. “Il primo e il secondo Avatar avevano lo stesso dna. Nel terzo il mondo è più grande e le emozioni si approfondiscono. Lo abbiamo girato insieme ad Avatar 2, e quello che abbiamo provato lo abbiamo riversato in Avatar 3. Ogni personaggio cerca di trovare la propria collocazione. Le emozioni sono ancora più forti”.
Il Popolo della Cenere
Sì, le emozioni sono ancora più forti. A differenza dei primi due Avatar, il nuovo film parte subito con uno scontro, con una sconfitta, con la paura. Non c’è spazio e non c’è tempo, come nelle altre due opere, per la scoperta di un mondo e per la meraviglia per la bellezza del pianeta Pandora. Viene introdotto subito un pericolo, il Popolo della Cenere, selvaggio e spietato, e la loro terra desolata, resa così da un’eruzione vulcanica. A prima vista, sembrano raffigurati in un modo simile a come il vecchio cinema americano rappresentava i nativi americani.
Un’operazione temeraria che ha premiato
E infatti il nuovo Avatar: Fuoco e Cenere stavolta è un po’ un western, un po’ il cinema apocalittico e distopico della saga di Mad Max, per come viaggia nella desolazione dei luoghi e nei costumi di popoli brutali e selvaggi. Ma è sempre quello che è stata la saga di Avatar fin dall’inizio: la rilettura del cinema d’avventura degli anni Quaranta, già rinato negli anni Ottanta con i film di Indiana Jones e i suoi epigoni e ritornato in via più di 15 anni fa grazie alla visione di James Cameron e alle tecnologie del 3D e della performance capture. Come ogni operazione di James Cameron è stata temeraria. E l’azzardo ha premiato. Il primo film, del 2009, ha incassato 2,9 milioni di dollari in tutto il mondo, diventando il film con il maggiore incasso di tutti i tempi, ha vinto 3 Oscar nelle categorie tecniche e 2 Golden Globe, tra cui miglior film drammatico e miglior regia. Il secondo film Avatar: La Via dell’Acqua, ha incassato 2,3 milioni di dollari e ha vinto un Oscar per i migliori effetti visivi.
Varang, un personaggio memorabile grazie a Oona Chaplin
James Cameron è sempre stato bravissimo a creare icone. Pensiamo ad Aliens – Scontro finale, a Terminator, a Titanic. I Na’vi blu di Avatar sono iconici per eccellenza. E in questo terzo capitolo crea un personaggio memorabile. È Varang, la leader del Popolo della Cenere, realizzata con la performance capture, quindi grazie ai tecnici degli effetti visivi ma soprattutto grazie all’attrice che le dona espressioni e movimenti, una sorprendente Oona Chaplin, la nipote di Charlie Chaplin. Occhi bistrati di nero, segnali di guerra sul volto, il copricapo rosso e un morso ferino: Varang è un’antagonista pericolosa, sexy e memorabile.
Kiri: la recitazione di Sigourney Weaver e la magia del cinema
Ma è un personaggio altrettanto eccezionale Kiri, la figlia della dottoressa Grace, il personaggio interpretato da Sigourney Weaver nel primo Avatar, nata una volta che è stata accolta da Eywa, la Madre terra. Di fatto è la figlia della Divinità che si è fatta persona per salvare il suo popolo. È il tramite tra la Divinità e la gente. E il parallelo con la figura di Gesù Cristo è evidente. Kiri è anche la creatura che ci fa capire la magia del cinema e la magia di James Cameron. Quella di riportare, grazie al computer e alla performance capture, Sigourney Weaver ad essere un’adolescente, come non l’avevamo mai vista neanche noi sul grande schermo. L’attrice è bravissima: perché, anche se la figura creata al computer è sorprendente, è lei, con la sua arte, a ringiovanire nell’anima per dare i movimenti e lo sguardo di una ragazzina al suo personaggio.
Recitare con la performance capture: un’incredibile purezza
Ma cosa vuol dire per un attore recitare con il sistema della performance capture, in un set virtuale? “Sul set tradizionale ci sono tante distrazioni, le luci naturali, i carrelli” spiega Sam Worthington, il protagonista. “Lavorando così, si tratta di un processo molto personale, molto intimo. Nel primo Avatar c’era una promessa: dopo aver realizzato gli effetti speciali, doveva rimanere tutto molto naturale. È una promessa mantenuta. È come se avessimo messo addosso solo un trucco. Tutto quello che abbiamo fatto da attori, le espressioni, i baci, si ritrova sullo schermo”. “Ho fatto due anni di performance capture” aggiunge il giovane Jack Champion, che nel cast è Spider, unico umano del clan dei Sully.” È fantastico come vengano realizzate le espressioni dei volti. Ci si concentra sulla recitazione, ci siamo solo noi attori”. “Non si può fare finta” aggiunge Worthington. “Dobbiamo solo pensare ad essere lì, esprimendo quello che dobbiamo dare. Sei sempre in primo piano. Devi dare il meglio di te. Tutto viene catturato nel momento in cui lo esprimi, c’è un’incredibile purezza”.
Avatar è già nella Storia del cinema
James Cameron ha già fatto la Storia del cinema con il suo primo Avatar per l’idea e lo sviluppo della tecnologia al servizio della sua poetica. Oggi può solo continuare questo grande racconto. Ogni nuovo film di Avatar è in fondo la stessa storia (già il primo si rifà a una storia archetipica e i sequel riprendono i canoni dell’originale con variazioni) e allo stesso tempo è sempre nuova. La vera rivoluzione di Cameron non è il 3D. Il cinema in stereoscopia è il marchio di fabbrica di Avatar e il modo migliore per viverlo. Ma in generale non ha sfondato e ora a fare i film in 3D è praticamente il solo Cameron. La vera rivoluzione di James Cameron è aver reso la performance capture ad alti livelli e di aver creato un mondo che sembra vivere di vita propria.
Le armi, l’ecologia, la speranza per il pianeta
Avatar è stato fin dall’inizio un film politico. Si è parlato da subito di colonizzazione, di ecologia. In Avatar 3 c’è un messaggio potente sulla presenza delle armi nella società. Pensiamo al possesso di armi tra i privati cittadini americani, o alla sfrenata corsa agli armamenti delle nazioni, in nome di una sicurezza e di una “difesa” che sembra trascinare tutti verso la guerra. Possedere un’arma ti cambia inesorabilmente. Ed è questo che racconta il nuovo film. Quanto all’ecologia, c’è speranza per il nostro pianeta? “Penso di sì” risponde la giovane attrice Bayley Bass, che interpreta Tsireia. “Ci sono otto miliardi di persone sul nostro pianeta. E volete dirci che non vogliamo che il nostro pianeta sia pieno di luce? È per questo che condividiamo il nostro sogno”. “Nel 1942-43 qui c’era poca speranza, la situazione era drammatica” spiega Stephen Lang, che è il colonnello Miles Quaritch. “Eppure anche qui è stato possibile superare questo momento. Sono fiducioso che sarà possibile superare questo momento cupo, che riguarda il mio Paese e tutto il mondo. In questo Paese conoscete il fascismo: il mio sta iniziando a imparare che cos’è”.
Il cinema non è morto
James Cameron è allo stesso tempo avanguardia e classicismo. I suoi film sfruttano ogni volta la tecnologia più moderna e sofisticata, ma il respiro delle sue opere è quello di un cinema classico, che non si piega ai ritmi di fruizione di oggi che si vorrebbero applicati anche alla Settima Arte. E, soprattutto, in giorni in cui si parla di morte del cinema, è un film che riporta la gente in sala. “Ci sono film come Avatar che vanno visti al cinema” afferma appassionato Lang. “Non c’è nulla di paragonabile al trovarsi in una sala cinematografica buia, accanto a perfetti sconosciuti”. E Avatar: Fuoco e Cenere è il modo migliore per dire che il cinema non è morto.
di Maurizio Ermisino