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Arsa, al cinema il film di MASBEDO. Memoria, dolore e natura si incontrano a Stromboli

Una produzione Eolo Film Production, Salciòn e Rai Cinema. Distribuzione Fandango. Co-sceneggiatore Giorgio Vasta. Gala Zohar Martinucci debutta sul grande schermo nei panni della protagonista

“Fare le cose belle per finta. Fare le cose che sembrano belle”. A un certo punto di Arsa, il film di MASBEDO, presentato alla Festa del Cinema di Roma e in uscita nelle sale il 24 aprile, un personaggio dice questa frase. È il proprietario dell’azienda dove lavora il padre di Arsa, scultore che lavora nella realizzazione di manufatti artistici. È una riflessione sull’arte, e forse anche sul cinema. MASBEDO è un duo artistico formato da Nicolò Massazza (1973) e Iacopo Bedogni (1970), da anni protagonisti di spicco dell’arte visuale e della ricerca sull’immagine in movimento.

Il loro film non è una cosa bella per finta, non è fatto di immagini che sembrano belle: cercano di riportarci una storia reale, vivida, terrena. È la storia di Arsa, una ragazza che ha circa diciotto anni ed è bella, chiusa e selvatica. Vive da sola in una casupola fatiscente che guarda sul mare, da qualche parte lungo il perimetro di un’isola. In questo paesaggio si muove sicura, è qui che ha costruito il suo mondo sospeso. Il canneto è la soglia tra il suo spazio di solitudine e la vita sociale dei turisti che osserva a distanza. Un giorno arrivano sull’isola tre ragazzi in vacanza che prendono una casetta in affitto. All’improvviso il mondo di Arsa viene invaso.

Abbiamo incontrato i MASBEDO a Roma, alla prima ufficiale del film, al Cinema Barberini. E siamo partiti proprio da quelle “cose belle per finta”. “È una riflessione che abbiamo fatto su noi stessi, essendo padri” ci ha raccontato Iacopo Bedogni. “Qui c’è una sorta di lascito, di eredità di un padre – che rappresenta non il padre-potere, ma un padre fragile, con un pensiero creativo – che combatte con questa cosa. È una cosa che abbiamo rappresentato in questo bellissimo dialogo che ha scritto Giorgio Vasta (scrittore e co-sceneggiatore del film, ndr), che è anche una riflessione sul dramma che ogni artista vive ogni giorno. C’è un mondo pratico che non dialoga, non capisce cosa fai. E c’è un mondo artistico che produce cose che non collimano con quel mondo pratico. Siamo in un Paese in cui l’arte dovrebbe essere il trofeo da esibire ovunque, ma sulla nostra pelle, ahimè, viviamo ancora quel ‘cosa fai l’artista? Sì, ma cosa fai di lavoro?’. Abbiamo voluto portare questo tema, con una toccata leggera, nel film”. Arsa è un film magnetico, enigmatico e assorto. E anche caldo e avvolgente. È un film da vedere.

Un nome dai mille significati

Arsa significa bruciata, consumata dal fuoco. Come la terra in cui vive, riscaldata dal sole. Ma vuol dire anche vivida e fiammeggiante. Come può esserlo una persona giovane, ancora pura, con tutta la vita davanti. Arsa può voler dire mille cose, come dicono i ragazzi venuti da fuori che l’hanno appena conosciuta. Come il personaggio femminile al centro di un altro film, in realtà completamente diverso, come Parthenope, Arsa sembra avere il proprio destino in un nome. E sembra essere non solo la giovane donna che vediamo, ma anche molto altro. Arsa è una figura allegorica, un simbolo. “Arsa è qualcosa di topografico e iconografico” riflette Iacopo Bedogni. “Rappresenta un’entità, un’isola, un carattere. Rappresenta le pulsioni giovanili. Ci sembrava che in questo nome si racchiudessero alla perfezione i due grandi temi di questo film: la natura e il suo essere preponderante, e il carattere di questa ragazza che convive con questa natura”. A interpretare Arsa c’è la giovane Gala Zohar Martinucci, bravissima. Accanto a lei ci sono Jacopo Olmo Antinori, Tommaso Ragno, Lino Musella,

Uno sguardo amorevole sui corpi 

Arsa conquista per la sua atmosfera, e per lo sguardo dei registi, che è molto particolare. La macchina da presa è sempre molto vicina ai corpi ai volti, agli oggetti, ai particolari della natura, che è un’assoluta protagonista. Ma colpisce davvero lo sguardo sui corpi, che sono giovani e sono bellissimi. Quello sguardo, però, non è mai voyeuristico, mai insistito o carico di desiderio. È piuttosto uno sguardo attento, curioso, in alcuni casi, come accade verso la protagonista, amorevole e pieno di cura. “Mi fa molto piacere che questa cosa venga notata” ci risponde Iacopo Bedogni. “Il nostro non è un film che vuole rappresentare con nostalgia un’epoca della vita. È lo sguardo di un padre verso una generazione che appartiene in qualche modo anche a lui, in quanto i propri figli vivono alcune delle sue emozioni. Ed è uno sguardo anche da spettatore. C’è uno scrittore che amiamo molto, Michel Houellebecq, che diceva ‘l’ottanta per cento della mia vita lo guardo da spettatore, perché guardare il mondo è interessante’. E allora guardare i turisti da un altro punto di vista ti distanza da loro. Ti mette nella condizione di non avere il voyeurismo”. Ecco spiegato il perché di questa scelta: lo sguardo amorevole è quello di un padre.  A sua volta, Arsa ha un suo modo di guardare le cose. Uno sguardo esterno, lontano, non invasivo, come quando osserva il mondo, e gli altri che arrivano sull’isola, con il binocolo.

La distanza dal mondo

Arsa è una donna giovane, sola, distante. Non sta in mezzo alla gente, ma al limite gioca con i bambini. Perché è quella la sua dimensione, la sua innocenza. Quando gli altri ballano, Arsa balla da sola come la Lucy di Bernardo Bertolucci. È una donna restia, selvatica, che non dà confidenza, almeno non fino in fondo. È una bambina sola, senza il papà. Quel papà che, da piccola legava a sé con un filo di lana rosso per non perderlo mai, e che oggi in qualche modo porta con sé, continuando a fare arte. Poche volte abbiamo visto nel cinema italiano la figura di una giovane donna bellissima eppure mai ritratta in modo glamour, quanto nel suo essere naturale. Anzi accentuando, per esigenze di copione, dei particolari come le mani non curate, di chi lavora, e delle sbucciature sulle ginocchia. “Abbiamo voluto dare quel senso si libertà nel corpo, nelle mani” commenta Niccolò Massazza. “Nel suo essere sporca, nell’essere vera come l’isola. L’idea è che la sua pelle fosse quella dell’isola”. Arsa è un cucciolo rimasto, in un momento della sua vita, senza padre. “E a un certo punto con l’immaginazione si è rafforzata, ha costruito un mondo, un futuro, una speranza” aggiunge Massazza. È una persona che non ha la malizia di chi vive nella società. “È come se avesse una sorta di distanza dal mondo e cerca di assorbire le cose positive della solitudine”.

La luce di Stromboli

“È un film di sguardi” continua Massazza. “Quello sulla natura è fondamentale: abbiamo cercato di lavorare sul piano di scultura dell’immagine. Come se questa natura, la sua luce fossero la coperta di tutto. Volevamo che ci fosse la dimensione dell’essere avvolti da questa luce calda”. L’isola al centro del film è Stromboli. “La conosciamo da una vita, e ci siamo arrivati in modo naturale” commenta il regista. “Avevamo bisogno di raccontare Stromboli perché ci appartiene”.

I mostri non sono cattivi

“Mio padre sognava i mostri e me li raccontava. E mi diceva che non erano cattivi”. È anche questo che è stato tramandato da padre in figlia, come racconta la voce narrante di Arsa. “I mostri sono quelli più belli” commenta Massazza. “Sono quelli di cui tutti hanno paura. Ma in verità sono molto più belli loro di noi mostri che stiamo in piedi su due zampe”. Quello di Arsa, allora, è anche un messaggio di apertura, di tolleranza, di fantasia, di scoperta. “È aprirci verso le cose nascoste, verso un altro tipo di realtà e di dimensione: più selvaggia, più rarefatta, più intensa”.

di Maurizio Ermisino