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1975 o 2025? Ipsos racconta perché il passato continua a sembrarci migliore

Nel report 'Is Life Getting Better?' 30 Paesi confrontano passato e presente tra nostalgia, percezioni distorte e progressi reali in sanità, educazione e standard di vita
Is life getting better?

Mentre il 2025 procede tra evoluzioni tecnologiche, tensioni geopolitiche e un contesto economico complesso, Ipsos prova a rispondere a una domanda semplice ma cruciale: la vita oggi è migliore rispetto a 50 anni fa?

Il nuovo studio Is Life Getting Better?, condotto in 30 Paesi, mette in luce un dato netto: in gran parte del mondo prevale la nostalgia.

1975 preferito al 2025, unica eccezione la GenZ

In media, il 44% degli intervistati preferirebbe essere nato nel 1975, contro il 24% che sceglierebbe il 2025. La Generazione Z è l’unica fascia che mostra una preferenza, seppur lieve, per il presente. Baby Boomers e Generazione X risultano invece particolarmente orientati a idealizzare gli anni Settanta, mentre Millennials e Gen Z – cresciuti in un contesto profondamente diverso – tendono a considerare il presente come più favorevole.

Cosa valutiamo meglio del passato

Le dimensioni più associate al ‘si stava meglio prima’ sono tre: qualità dell’ambiente (61% ritiene fosse migliore nel 1975), sicurezza nelle strade (55%) e felicità e benessere generale della popolazione (55%). Anche la percezione di vivere in un mondo meno esposto a guerre o conflitti era più positiva nel passato.

Sanità ed educazione: qui il progresso è riconosciuto

Sul fronte dei servizi, il presente viene valutato più positivamente. In particolare: 52% considera migliore il sistema sanitario attuale, l’istruzione e gli standard di vita mostrano giudizi più equilibrati ma con un orientamento generale verso il miglioramento.

Le differenze tra i Paesi

La ricerca registra differenze rilevanti tra Paesi. In Francia e Belgio, oltre metà degli intervistati preferirebbe nascere nel 1975. Qui la nostalgia è collegata a un clima percepito come incerto: l’attuale contesto sociale, economico e politico alimenta il desiderio di un passato percepito come più stabile.

In Messico e Nuova Zelanda, invece, la scelta del 1975 appare meno connessa ai dati oggettivi e più legata a una sensazione diffusa di semplicità e sicurezza ‘di un tempo’.

Corea del Sud, eccezione globale

Unico Paese in controtendenza è la Corea del Sud: qui il 44% preferisce il 2025, contro il 19% che sceglierebbe il 1975. Il motivo è strutturale: il rapidissimo sviluppo economico, sociale e tecnologico degli ultimi decenni ha trasformato il Paese. Le generazioni più giovani percepiscono il presente come risultato concreto di un progresso continuo, mentre il passato è ricordato come un periodo di privazioni e instabilità.

Percezioni distorte: aspettativa di vita e alfabetizzazione

Il report evidenzia un divario significativo tra percezione e dati reali. L’aspettativa di vita attuale viene spesso sottovalutata: in Messico, ad esempio, gli intervistati stimano 68,5 anni contro una realtà superiore ai 75. L’alfabetizzazione globale è sottostimata sia per il 1975 sia per il 2025. Anche sulla popolazione mondiale, molti continuano a indicare la Cina come Paese più popoloso, nonostante l’India abbia superato questa soglia nel 2023.

La nostalgia come filtro interpretativo

Dalla ricerca emerge un paradosso: molti ritengono che la qualità della vita fosse migliore 50 anni fa, nonostante i progressi misurabili in ambiti chiave come sanità, educazione e aspettativa di vita. La nostalgia agisce come filtro interpretativo: il presente, segnato da crisi globali, conflitti, cambiamenti climatici e trasformazioni accelerate, viene percepito come più instabile. Il passato, al contrario, appare più semplice, ordinato, privo delle incertezze attuali.

Cosa ci dice la ricerca

Il benessere percepito può dunque divergere in modo evidente dal benessere reale, influenzando atteggiamenti, fiducia nel futuro e capacità di accogliere l’innovazione. La domanda iniziale – la vita è migliorata? – non ha una risposta unica. Dipende da dove si guarda, e soprattutto da come si interpreta ciò che conta davvero.

di Monica Gianotti