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The Others: un 2016 fatto di progetti sempre più variegati, forti di un team con diverse competenze. Puntando a essere indipendenti e alternativi alle agenzie main-stream

L’anno che si chiude e il nuovo che si apre nelle risposte di Paolo Torchio, Founder & Ceo The Others.
Partiamo dai dati. In questo 2016 gli investimenti, qualsiasi sia la fonte della rilevazione, parlano di almeno un 3% in più, con la rete a fare da regina, la tv a occupare la metà della torta, o quasi, la stampa ancora in crisi, specie la quotidiana. Come questa situazione si riflette sul vostro andamento? Insomma, diamo i numeri, i vostri, indicando le previsioni 2017
“Per noi i ricavi 2016 sono in linea con quelli del 2015, non abbiamo rilevato particolari evoluzioni. Certo, oggi c’è un approccio più maturo all’uso di canali digital e social, e questo è un bene per le marche”.
Passando, invece, al qualitativo, in un contesto di comunicazione sempre più liquido, dove le specializzazioni hanno confini sempre più fluidi e indefiniti, siete soddisfatti di come siete riusciti a trasferire al mercato la vostra essenza e di quanto la conseguente differenziazione dal resto risulti premiante?
“Abbiamo un gruppo di clienti storici che sanno cosa facciamo e come lo facciamo. Sempre più ci troviamo ad affrontare progetti molto variegati e multidisciplinari. Di conseguenza abbiamo costruito il nostro team assemblando diverse competenze, evitando la tentazione del diventare tuttologi”.
In termini di innovazione. Di offerta, processo, servizio, creativa, organizzativa, cosa avete in serbo nel 2017?
“Da un lato la continuità in termini di serietà, impegno ed etica. Dall’altro lato daremo all’agenzia un assetto più aperto a influenze esterne”.
Difficile citare un cliente e progetto, ma dovendone scegliere uno realizzato nel 2016 a emblema della vostra visione, quale case history racconteresti e perché?
“Credo che la costante, rispetto ai tempi in cui i clienti avevano progetti di serie A e di serie B, sia che oggi tutti i progetti che entrano nel nostro progress sono importantissimi. Una conseguenza evidente dell’ottimizzazione dei budget e delle risorse: oggi vedono la luce solo progetti di grande importanza, mentre quelli in dubbio, o le scommesse, restano nel cassetto. Quindi direi che tutto quello che abbiamo fatto quest’anno ci rappresenta”.
Da un lato, la comunicazione ha bisogno di recuperare cultura e di trasferire, anche insegnandolo, il valore dell’autorialità, dall’altro di ricalarsi nella vita reale andando a conoscere lì le persone, quando si esprimono nel loro modo più vero. Si tratta di facce della stessa medaglia o di dicotomia inconciliabile? Ossia, è possibile alzare l’asticella qualitativa coinvolgendo la gente, abituando al bello, dirigendo il ‘senso di cool, il gusto collettivo’, assumendosi dunque la responsabilità e l’onore di poterlo fare, anche nei confronti delle aziende clienti? 
“Non ha senso parlare di autorialità in campo pubblicitario. Temo che questo sia un problema che si pongono solo i pubblicitari fighetti da red carpet, a cui interessa il senso del cool fine a se stesso. Per The Others è cool essere indipendenti e alternativi alle agenzie main-stream. E questo ricade automaticamente sul nostro modo di lavorare, sul flusso culturale che ne consegue”.
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