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Strategie d’oggi per costruire l’agenzia di domani. Aipem: dicendo che il segreto sta nell’avere un nocciolo duro liquido, riusciamo a farci capire? Perché in un mercato che vede tutti contro tutti, integrato non è despecializzato e l’eccellenza nella verticalità resta obiettivo, con l’estero che incalza

Parliamo di modello di agenzia sostenibile per il futuro con Andrea Fioritto, ad e marketing manager Aipem.

Qual è secondo te il modello ideale di struttura cui tendere? Insomma, compatibilmente con la tua essenza, con il tuo ambito di attività, con la tipologia dei tuoi clienti, chi eri, chi sei e chi vuoi essere a breve?
“Chi ero: una agenzia di comunicazione classica, che tuttavia ha scelto di abbracciare in modo pionieristico la sfida della multicanalità. Chi sono: un ‘work in progress’ tra chi ero e chi voglio essere. Chi voglio essere: una struttura con ‘nocciolo duro’ snello e costituito dalle sole risorse strategiche, intendendo con questo termine quelle capaci di produrre valore (innovazione, creatività, progettualità). Nel nostro caso, si tratta paradossalmente di un ‘nocciolo liquido’ in quanto un ruolo importante viene giocato anche dalla multidisciplinarietà delle provenienze del team, che viene verificata su tutti i progetti. A tutto ciò, si affianca una struttura flessibile per la fase operativa, che prevede risorse stabili solo se pienamente skillate e produttive secondo gli standard odierni, a cui si aggiungono forme di collaborazione esterna diversificate (freelance, subappalto)”.

Come vedi la competizione nel mercato attuale, tutti contro tutti, o segmentata, con i soliti mostri sacri a contendersi la torta maggiore, o che altro?
“Tutti contro tutti. La segmentazione naturale come eccezione. Negli ultimi mesi abbiamo visto grandi società di rp venire in provincia a fare gare per piccoli consorzi, piuttosto che grandi aziende affiancare all’agenzia internazionale per l’adv l’amico freelance per il web”.

Da anni si discute sulla rigidità del nostro mercato del lavoro. Che dire quando in ballo c’è la comunicazione, qual è la soluzione ottimale per salvaguardare lavoratori, talento, profitto, creatività e risultati?
“Non esistono ricette magiche, il problema è strutturale. Stabilità di mercato e clienti > stabilità posti di lavoro. Incertezza mercato e clienti > incertezza e precarietà dei posti di lavoro. Il posto di lavoro (e con esso la possibilità di far crescere e trattenere i talenti) è una conseguenza di una posizione di mercato stabile, non la determinante. Questa situazione è anche frutto delle difficoltà di finanziamento, che spesso bloccano anche gli imprenditori più coraggiosi. Dubito, infine, che in Italia si adotterà mai una legislazione giuslavoristica con orientamento ai risultati”.

 Credi che il futuro parli integrato o specialistico?
“Vista la nostra vision, non posso che rispondere integrato e multicanale. Tuttavia, integrato non significa despecializzato. La logica tra specialità e integrazione non deve essere di tipo aut-aut, bensì et-et. L’agenzia vincente è quella che persegue l’eccellenza nella verticalità e che propone l’integrazione come valore aggiuntivo, non sostitutivo o compensativo di una bassa specializzazione”.

Le grandi realtà sono ancora sostenibili ed efficaci, o piccolo è meglio, o le dimensioni non c’entrano?
“Le dimensioni non contano, conta la competitività, conta il vantaggio competitivo ‘hic et nunc’ nel singolo progetto, che certe volte può essere appannaggio anche del player più piccolo della partita, ma risultare determinante. Tuttavia, vorrei aggiungere un’altra possibile causa, l’abbassamento qualitativo e culturale medio degli interlocutori aziendali, complice la crisi. Ma si apre una tematica che richiederebbe riflessioni ad hoc”.

Quanto conta il respiro internazionale, specie oggi che i network non sono più così ‘generosi’ con il nostro paese? Esiste una via italiana per l’estero, come stai pensando di svilupparla?
“La tematica è di assoluta urgenza, non più solo di attualità. Il mercato domestico è diventato marginale per quasi tutte le merceologie, l’orientamento all’export è l’unico asset che sta salvando il tessuto produttivo italiano (98% pmi). Noi già da anni siamo attrezzati per fornire ai clienti gran parte dei nostri servizi in ambito internazionale, ma su alcune aree dobbiamo ancora migliorare. Sentiamo molto l’esigenza di fare rete con realtà estere omologhe alla nostra, ci stiamo impegnando in questa direzione, ma sembra ci sia molta strada da fare per definire un terreno comune”.