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Rp ridotte a commodity. Fornitori, non consulenti. Quanti sottoscrivono queste affermazioni? In Italia di sicuro molti. Ma pensateci, stiamo parlando di un comparto che all’estero mai come oggi è considerato strategico, indispensabile. Altro che limitato alle ‘relazioni con la stampa’. Il peggio, poi, è che la colpa è tutta sua. Per questo il founder e vice president di una nota agenzia di Rp milanese ci scrive, invitando tutti a riflettere. E a cambiare

‘Dove abbiamo sbagliato?’ è il titolo della lettera che Gianna Paciello, founder e vice president Aida Partners Ogilvy Pr, ha inviato alla nostra redazione. La pubblichiamo integrale. Permettendoci pure di esprimere il nostro pieno accordo. Da tempo, infatti, riteniamo che le rp siano tanto indispensabili, quanto incapaci di assumere quel ruolo strategico che la comunicazione, soprattutto quella contemporanea, le chiama ad avere. Ovviamente le eccezioni ci sono, ma isolate non possono cambiare la percezione che il settore dà di sé al mercato, con il rischio di finire sempre più spinti all’angolo della fornitura, ragionati solo in base a logiche da ufficio acquisti. Serve un cambio di rotta. Serve la capacità di fare sistema. Ne sarete in grado? La posta in gioco è alta. Leggete questa lettera.
“Dove abbiamo sbagliato? Perché qualcosa abbiamo sbagliato di sicuro, se dopo anni di battaglie per cancellare l’immagine di una categoria poco qualificata, poco professionale, improvvisata e salottiera, salvo qualche rara eccezione, non siamo riusciti a conquistarci un posto su quel podio, dove dovremmo essere di diritto.
Perché ancora oggi, dopo 30 anni, le aziende comunicano le campagne pubblicitarie o quelle web e mostrano un rispetto reverenziale verso tutti gli operatori della comunicazione.
Tutti, ma proprio tutti, tranne noi Rp .
Quante volte, voi colleghi, avete sentito un’azienda intervistata ringraziare la propria agenzia? Quante volte avete dovuto insistere per fare citare il vostro nome da un cliente, nonostante il progetto, il pensiero che ci stava dietro, il lavoro infinito per idearlo e confezionarlo, fosse tutto vostro?
Non sto dando la colpa alle aziende e non voglio darlo alla stampa. Abbiamo fatto tutto da soli. Cioè non abbiamo fatto niente!
Ognuno di noi ha cercato di lavorare con professionalità, qualità, dedizione. Così tanta, a volte per farci inconsciamente perdonare il nostro peccato originale, da diventare agli occhi dei clienti dei ‘fornitori’, non dei consulenti, una categoria di serie B, diciamocelo pure.
Difficile ora cambiare le cose e le prospettive.  Prospettive tutte italiane, perché all’estero la categoria ha un ruolo di primo piano, riconosciuto da sempre, apprezzato e inneggiato. Ma si sa, noi italiani abbiamo il vizio di banalizzare il buono ed esaltare il peggio.
Non siamo riusciti neanche a creare un’associazione che ci proteggesse o, meglio ancora, che comunicasse (eppure dovrebbe essere il nostro mestiere) quello che sappiamo fare, giorno dopo giorno, anticipando da sempre i ‘segnali deboli’ che poi diventano i trend del mercato. Niente. Non abbiamo fatto niente neanche lì.
Ci siamo dati delle regole che per primi non rispettiamo e ci siamo parlati addosso, dimenticandoci che era il mercato a dover capire a  cosa serve il nostro lavoro. E così ora i nostri clienti pensano che fare relazioni pubbliche sia intrattenere solo i rapporti con la stampa.
E a volte lo pensano anche le nuove leve che prendiamo in agenzia. Colpa delle scuole che sfornano migliaia di futuri comunicatori all’anno? No, è ancora e sempre colpa nostra, perché in quelle scuole insegniamo anche noi.
Ho 51 anni, troppi per fare la paladina, ma pochi per smettere di sognare. E il sogno è che le nuove generazioni di comunicatori facciano qualcosa, tutti insieme, per dare valore al nostro lavoro.
Io non mi tiro indietro e come me tanti altri, e non solo nella nostra agenzia.
Si accettano proposte”.