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Professione regista. Air3 e i suoi registi italiani che vivono all’estero. Marco Gentile, residente a Los Angeles. “Perché in Italia non c’è una Directors Guild? Sapete che gli stranieri cui date la precedenza non sono i top e il lavoro ve lo fanno con la mano sinistra? E il rispetto?” E’ ora di copiare come il talento viene alimentato e protetto all’estero

Gli astronauti sostengono che la vista della terra dallo spazio influenzi in modo irreversibile l’amore che provano verso il nostro pianeta. Tu che lavori lontano dall’Italia, come la vedi da là, Major Tom?

“Innanzitutto un saluto al grande Bowie… l’Italia è sempre bella ma si vedono anche meglio i problemi guardandola da lontano. Ce ne sono molti e alcuni di questi riguardano il lavoro dei registi italiani che credo soffra di molte cose e una di queste è l’esterofilia”.

All’estero ci sono molti ricercatori e pochi registi, italiani: secondo te è una questione di talento, di formazione, di considerazione, o che altro?

“Questo è un punto molto delicato. Come sapete io vivo a LA da due anni e per lavorare in questo mercato ho dovuto chiedere un visto lavorativo e avere l’approvazione della DGA, la Directors Guild of America. Vi assicuro non è semplice ottenerli. Qui mi trovo spesso a gareggiare contro registi stranieri che però hanno anch’essi dovuto ottenere quei due medesimi documenti. Si tratta di registi molto bravi e che provengono da paesi come la Svezia, la Danimarca, la Germania, la Spagna, l’Argentina, la Francia, il Brasile. Con tutto il rispetto per questi paesi e per il talento di questi registi, non penso che l’Italia non abbia gli stessi talenti e soprattutto non penso che l’Italia sia il terzo mondo della regia. Anzi sappiamo bene tutti che l’Italia ha una storia gigantesca nel campo delle arti visive e che il cinema italiano ha fatto la storia mondiale del cinema. Quindi, che nel 2016 ci siano pochissimi registi italiani che lavorano nei mercati più competitivi (qui nel mercato Usa siamo in due i registi italiani rappresentati da case di produzione della USA A list production companies, secondo la lista di Creaitivity Online) mi sembra ridicolo, assurdo, non coerente con la realtà e penso che questa cosa debba finire. Gli stessi registi dei paesi citati sopra mi chiedono il perchè, non capiscono. Ovviamente quando mi trovo a parlare di questa cosa non vi nascondo che m’incazzo molto, e non per un sentimento nazionalista, ma perchè so che i miei colleghi italiani valgono molto.

Il motivo di questa situazione? Credo le ragioni siano due:

La prima, non c’è alcuna protezione nel nostro paese. Come dicevo per girare negli USA devi avere il visto ed essere un membro della DGA ed è difficile avere questi due documenti. In Argentina non ci sono documenti particolari, ma c’è un sistema di solidarietà e rispetto tra cdp, agenzie e registi per cui i registi argentini sono sempre preferiti agli stranieri. In Brasile c’è una protezione legale, mentre nei paesi Scandinavi è come in Argentina. Le cdp hanno creato della scuole di registi, cui fanno fare progetti belli con budgets alti nei loro paesi, hanno iniziato a vincere premi internazionali e poi si sono ritrovate dei roasters con registi che venivano richiesti nei mercati maggiori come Uk e Usa. Quindi, anche da un punto di vista meramente economico hanno avuto un ritorno grandissimo, oltre che d’immagine e di prestigio. Aggiungo che spesso i registi stranieri che vengono in Italia non sono i top, che di solito vedono il nostro mercato come secondario e quindi rifiutano il lavoro, e quelli che vengono fanno il lavoro con la mano sinistra, quindi le agenzie non ottengono neppure il massimo. Sono certo che i registi italiani ci metterebbero molto più impegno se avessero più spazio, si creerebbe una scuola di registi che poi vengono chiesti nei mercati principali e si innescherebbe un circolo virtuoso per tutti, cdp, registi, agenzie e clienti.

La seconda, che manca una formazione ad hoc. Qui negli Usa le scuole di cinema sono molto pratiche e formano professionisti pronti ad andare sul set, ma soprattutto c’è uno studio specifico per la regia pubblicitaria. E così in Germania, nei paesi Scandinavi, mentre in Italia mi pare proprio manchi. Ci sono scuole come lo IED o il NABA che sono ottime ma penso che non siano abbastanza”.

E’ cambiata la percezione che il mercato italiano ha di te da quando sei all’estero?

“Non lo so”.

Cosa significa essere un regista straniero, ovvero registi italiani in un mercato internazionale?

“Per tutto quanto ho sopra esposto, significa essere soli. Significa anche dovere spiegare il perché e riconoscere che è un peccato perché il potenziale è enorme. Abbiamo creativi bravissimi e registi che possono competere con tutti”.

Dal punto di vista economico ci sono differenze rilevanti tra il nostro mercato e quello Usa, soprattutto riguardo le remunerazioni e la divisione del budget di produzione tra la diverse voci-competenze che lo compongono? Insomma, a occhio e croce, la torta come si ripartisce tra agenzia di pubblicità, media, casa di produzione e regia?

“Siamo sicuramente pagati di più, ma ripeto i problemi sono altri e si possono fare belle cose anche con budget più bassi ma ci vuole creatività e bisogna credere nei talenti locali”.

Quali sono le differenze sostanziali che riscontri all’estero e quali quelle che vorresti importare in Italia per lavorare tutti meglio?

“C’è molto rispetto per la figura del regista, e i clienti tendono a fidarsi molto del direttore creativo e del regista”.

Da Los Angeles, Marco Gentile regista associato Air3 .