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Professione regista. Air3 e i suoi registi italiani che vivono all’estero. Fabrizio Mari, da Barcellona: “Adoro l’Italia, ma la Spagna è più ‘libera’. I compensi, invece, mediamente più bassi, ma con i registi spesso soci di cdp. E poi le gare. Qui il regista incontra agenzia e cliente. Dovremmo importarla come prassi

Gli astronauti sostengono che la vista della terra dallo spazio influenzi in modo irreversibile l’amore che provano verso il nostro pianeta. Tu che lavori lontano dall’Italia, come la vedi da là, Major Tom?

La penisola è meravigliosa dall’alto, anche se la mia distanza è ridotta al minimo e la vista risulta chiara e limpida. Quando il tuo quotidiano diventa un altro, l’affetto per i luoghi ai quali appartieni si fa strada in modo inevitabile. Un po’ di nostalgia, che mi piace anche, non posso negarlo. Milano mi sembra sempre più bella lo confesso. E mentre lo dico penso agli amici romani che se la ridono. L’Italia in generale resta un luogo unico e potente e io sono orgoglioso del mio passaporto”.

 All’estero ci sono molti ricercatori e pochi registi, italiani: secondo te è una questione di talento, di formazione, di considerazione, o che altro?

Secondo me è spesso una questione di pigrizia. Non sono gli altri che non ci vogliono. Siamo noi che stiamo bene a casa. Perché cercare altrove quando abbiamo tanto? Negli ultimi anni la tendenza è cambiata per necessità in molti settori, ma non siamo poi così pochi a vivere all’estero, anche tra i registi, AIR3 o no”?

E’ cambiata la percezione che il mercato italiano ha di te da quando sei all’estero?

“Sì, in qualche modo. La presenza su un territorio diverso dal tuo apre nuovi scenari perchè altrove hanno una visione di te più aperta e ‘libera’. Riescono a guardare il tuo lavoro con meno pregiudizio. Questo genera fenomeni interessanti: in Spagna ti danno da fare lavori con testimonials, di storytelling o di visual dopo anni nei quali fai solo automobili e all’improvviso sembra che se ne accorgano anche a casa. Credo che accada la stessa cosa in molti ambiti professionali. La Spagna mi ha decisamente ripagato in termini di qualità del lavoro e riaperto molte porte”.

Cosa significa essere un regista straniero, ovvero registi italiani in un mercato internazionale?

“Il mercato è sempre più globale, piccolo nella sua immensità. Essere italiani è un vantaggio in molti mercati, anche se non sempre il primo contatto è facile. Per esperienza, alcune culture specifiche ci soffrono un po’ e questo genera qualche difficoltà iniziale. In quei casi fingo di non capire e parlo con accento andaluso”.

 Dal punto di vista economico ci sono differenze rilevanti tra il nostro mercato e quello Usa, soprattutto riguardo le remunerazioni e la divisione del budget di produzione tra la diverse voci-competenze che lo compongono? Insomma, a occhio e croce, la torta come si ripartisce tra agenzia di pubblicità, media, casa di produzione e regia?

“Le differenze esistono sicuramente, anche se il mercato oggi è molto frammentato ovunque e ogni progetto fa storia a se. In generale i compensi medi in Spagna sono più bassi ma la divisione della torta è simile. Da non dimenticare poi che molto spesso i registi qui sono soci delle case di produzione e a loro spetta un margine sui singoli progetti oltre a prendere il loro fee di regista”.

 Quali sono le differenze sostanziali che riscontri all’estero e quali quelle che vorresti importare in Italia per lavorare tutti meglio?

“Alcuni difetti o disfunzioni del mestiere sono presenti ovunque, anche se con sfumature diverse. Una cosa che a me piace molto della Spagna, e del mercato latino americano in generale, è la modalità gara. L’agenzia vede la tua reel e ti seleziona insieme ad altri registi. Cut. Vai in agenzia e ti fai una ‘charla’ con i creativi. Cut. Ti sbatti come al solito per fare un trattamento al meglio, lo condividi con la produzione ma soprattutto lo presenti tu fisicamente ad agenzia e cliente. In Italia in 20 anni mi è successo due o tre volte, da queste parti è praticamente imprescindibile. Agenzia e cliente si prendono il tempo necessario per guardare la tua faccia da italiano, ascoltarti, e decidere se si vogliono fidare di te o preferiscono un basco. Trovo che sia una consuetudine molto rispettosa e auspico qualcosa di molto simile da noi come regola fissa. Non solo il privilegio di pochi tra noi che frequentano per diversi motivi creativi e affini, ma una chance offerta a tutti i registi, seniors e giovani, per potere vendere in prima persona un progetto nel quale crediamo”.

Da Barcellona, Fabrizio Mari, regista associato Air3 .