Il 69% degli italiani, contro una media europea del 59%, si dichiara pronto a risparmiare sull’abbigliamento, ma ben due terzi (il 64%, vs media europea pari al 58%) non sono propensi a rinunciare ai capricci gastronomici. Un italiano su due (il 48%, in linea con il resto dei paesi europei) dichiara di fare la spesa più spesso per avere cibo fresco in base alle necessità: il valore del carrello’, in termini di freschezza e qualità, resiste alla crisi.
I dati emergono dall’indagine che Nielsen ha condotto a livello mondiale nell’arco del primo semestre 2013 (Global Inflation Impact Survey), su un campione costituito da più di 29.000 intervistati online in 58 Paesi, con l’obiettivo di misurare il cambiamento del comportamento dei consumatori in uno scenario di aumento dei prezzi
Il 46% degli italiani (vs media europea pari al 56%), si legge nella ricerca, ammette di aver potuto acquistare nell’ultimo anno esclusivamente lo stretto necessario per vivere (cibo e beni basilari), il 43% (media Europa 34%) riconosce, invece, di aver avuto l’occasione di soddisfare qualche capriccio personale. Solamente l’11% degli intervistati in Italia (in linea con il dato europeo pari al 10%) si dichiara in grado di spendere qualunque cifra liberamente. Il 64% degli italiani, alla pari della media europea, afferma che non sarebbe in grado di affrontare, con l’attuale reddito, un aumento dei prezzi dei generi alimentari.
Le categorie merceologiche che più andrebbero incontro a una riduzione dei consumi, in caso di incremento del tasso inflattivo, in Italia sono le seguenti: ristorazione (due intervistati su tre, il 70%, hanno dichiarato di tagliare il budget di colazioni/cene fuori casa, contro la media europea pari al 59%), cinema e altri svaghi (il 54% dichiara di tagliare su questa voce, media europea pari al 43%), vacanze (il 51% degli italiani è pronto a ridurre i viaggi di piacere, media Europa 38%), alimentare (il 36% è deciso a contrarre la spesa, Europa 40%).
In generale, a livello europeo, si farebbe a meno prima di tutto dello shopping (60% dei rispondenti), dei pasti fuori casa (59%) e svaghi (dal cinema ai viaggi, 43%). Solamente per gli spagnoli (in ragione del 42% del campione vs 34% in Europa) cellulare e internet risultano una spesa superflua.
I settori che nel nostro Paese subirebbero un minore impatto da una prevedibile lievitazione dei prezzi sarebbero: l’alimentare (il 64% degli italiani dichiara di non tagliare in questo segmento di acquisti, contro una media europea del 58%), i prodotti per la salute (Italia 62% vs Europa 54%), le spese per la casa (60% vs media Europa 62%) e l’istruzione (40% vs media europea pari al 31%). E’ da evidenziare che, in Europa, l’Italia è l’unico Paese, assieme alla Spagna, a volere tutelare dagli effetti negativi della crisi la voce istruzione: nella media europea questa è soltanto al settimo posto degli item da non toccare.I tedeschi (il 43% del campione vs media europea del 19%) nel loro carrello della spesa non rinuncerebbero alle bevande (leggi birra), mentre in Inghilterra non si riesce a fare a meno di internet e cellulare (40%, vs media Europa pari al 34%).
In uno scenario di aumento dei prezzi dei generi alimentari, 2 italiani su 3 (il 67%, in linea con la media europea) dichiarano di prediligere prodotti più economici e quindi le private label. La tendenza più marcata in questo senso si riscontra in Spagna, Francia e Regno Unito, le prime due all’83% delle dichiarazioni degli intervistati, l’altro all’82%.
Ciononostante, pure in una congiuntura di crisi, inconsciamente aumenta tra gli italiani la propensione all’innovazione e alla sperimentazione: il 47% degli intervistati (media europea 40%) dichiara di essere pronto a sperimentare nuove marche. Segue a ruota il Regno Unito (46%), mentre Francia, Germania e Spagna si rivelano meno elastiche in questo senso, collocandosi, le prime due, al 40%, l’ultima al 32% dei rispondenti favorevole a provare nuovi brand.
Per ciò che concerne le abitudini di acquisto, in vista di un aumento dei prezzi, il 59% degli italiani dichiara di indirizzarsi verso prodotti in saldo (media eu 47%), il 54% di fare la scorta di prodotti di uso regolare se in offerta (media europa 44%), il 39% di ricercare offerte online (media Europa 31%), il 29% – come nel resto dell’Europa – di orientarsi all’acquisto di confezioni più grandi, il 26% di ricercare offerte speciali sui social media (media europea 25%), il 22% di abituarsi a fare porzioni più piccole (Europa 15%), il 20% di ricorrere alla spesa online (media europea 13%), il 19% di scegliere prodotti più vicini alla data di scadenza (solitamente questi sono in offerta nella grande distribuzione). Solo il 5% dichiara di optare, se i prezzi aumentano, per la soluzione di comprare a credito.
Prendendo in esame i prodotti il cui consumo sarebbe considerato superfluo in una prospettiva di aumento dei prezzi, dalla survey di Nielsen emerge che il 70% degli italiani (dato più alto in Europa) considera superfluo il consumo di snack salati (media europea 61%), il 66%, come in Europa, di snack dolci, il 60% di piatti pronti (media europea 51%), il 63% di essere disposto a rinunciare a pasti fuori casa (media europea 54%), il 63%alle bibite gassate (vs media Europa pari al 53%).
Tra le categorie meno esposte alla contrazione dei consumi, troviamo gli alimenti alla base di una corretta dieta alimentare (latte, cereali, pane, pasta, frutta, verdura, carne). Queste voci in Italia fanno registrare i seguenti dati: il 21% degli intervistati diminuirebbe il consumo di latte (media Europa 19%), il 28% taglierebbe sui cereali non confezionati (media Europa 21%), il 20% sul pane (media Europa 22%), il 16% sul cibo confezionato (media Europa 23%); il 20% su frutta e verdura fresca (media eu 24%); il 26% sulla carne (media eu 28%).
Una delle strategie messe in atto dal consumatore italiano per tutelarsi da prevedibili aumenti dei prezzi è quella di individuare canali di vendita caratterizzati dalla presenza massiccia di offerte e promozioni.
Gli italiani diminuirebbero la frequentazione, tra gli altri, dei seguenti canali: il 48% del campione intervistato abbandonerebbe i negozi a conduzione familiare (media europea 35%); il 46% lascerebbe i piccoli negozietti di quartiere (media europea 37%); il 44% i minimarket (vs media europea 42%), il 39%, come in Europa, i negozi specializzati; il 39% i chiostri/distributori automatici (media europea 33%); il 17% i discount (Europa 15%); il 14% i format di pdv denominati ‘produzione propria/orto’ (Europa 11%).
Come ultimo punto, vengono prese in considerazione le strategie dei consumatori per evitare sprechi di cibo.
In merito alle principali forme di intervento implementate dai consumatori in questo senso si riscontra che il 48% degli italiani (media Europa idem) fa la spesa più spesso per avere cibo fresco in base alle necessità; il 42% compra meno alimenti e bevande facilmente deperibili (Europa 38%); il 36% è attento ad acquistare i prodotti con una data di scadenza più lunga (Europa idem); il 32% cucina una maggiore quantità di cibo che poi surgela (Europa 33%).
In sintesi, da noi si fa più frequentemente la spesa, prediligendo i prodotti freschi rispetto a quelli a lunga conservazione e ai surgelati.
Roberto Pedretti, amministratore delegato di Nielsen Italia, commenta nella nota: “Il tema dei prezzi per il consumatore italiano nel comparto alimentare è da sempre un tema caldo e lo diventa ancor di più in questi anni di crisi in cui il consumatore studia vere e proprie strategie e mette in pratica diverse contromosse per riuscire a risparmiare: sfrutta le potenzialità della rete per arrivare nel punto vendita preparato e con le idee chiare su prodotti e prezzi, predilige determinati canali di vendita, compra meno ma più spesso per garantirsi comunque cibi freschi. Ma, nonostante ciò, il consumatore italiano non rinuncia alla voglia di nuovo. Infatti, è proprio in questi periodi di difficoltà che è tendenzialmente più aperto alla sperimentazione, a provare nuovi brand, a patto però che sia tangibile il beneficio effettivo”.