Youmark

Marco Bandini/J. Walter Thompson Milan: la centralità del valore di scambio percepito. Non c’è rassegnazione, solo la certezza che gli utenti devono essere salvati, non dalle grandi compagnie tecnologiche, da se stessi. No ad alternative insensate tra privacy o comodità – privacy o qualità. Ma la soluzione ancora non c’è, è necessario uno sforzo sistemico

Rispondendo Marco Bandini, Strategic Planning Director J. Walter Thompson Milan, alla riflessione da youmark sollevata in tema di attualità del web, e non solo.

“Nonostante i recenti avvenimenti, non credo che conosceremo una battuta d’arresto nella crescita dei grandi player e questo sebbene talvolta ci espongano a rischi anche importanti. La questione è molto articolata e chiama in campo riflessioni su tematiche contigue ma diverse. Non posso che toccarne alcune.

Sicuramente è un tema di consapevolezza: spesso infatti i rischi a cui la condivisione dei nostri dati ci espone non li conosciamo abbastanza. Purtroppo li conoscono ancora meno coloro che dovrebbero istruirci; d’altronde le tecnologie si rinnovano con una tale velocità che i percorsi educativi tradizionali difficilmente riescono a contemplarli.

D’altronde la nostra stessa idea di privacy è cambiata. Usare i social media ha reso sempre più naturale condividere le nostre cose nei mondi digitali e questo ha partecipato ad abbassare l’attenzione. Molti di noi non griderebbero dalla finestra quello che mettono sui propri status, nonostante l’effetto non sia poi così dissimile (quanti non amici siamo finiti per avere sui nostri profili? Quanto la percezione di Facebook come sistema ‘chiuso’, ha influenzato il nostro modo di produrre e condividere contenuti anche sui sistemi più aperti come Instagram o Twitter?)

Infine, vorrei soffermarmi un attimo sul concetto a mio avviso più spinoso quello del ‘valore di scambio percepito’ (al centro di uno dei nostri tool in JWT). Se i benefici percepiti derivanti dall’uso di certi sistemi o piattaforme supera i possibili inconvenienti avviene l’adozione e il possibile inizio di un’abitudine.

Prendiamo, ad esempio i vari Google Home, Amazon Echo o Apple HomePod. A tutti è chiaro che una volta installati in casa propria essi si mettono in perenne ascolto. Ascoltano noi e le nostre famiglie, ogni  volta che proferiamo parola. Eppure invece di chiedere una ricompensa, paghiamo per metterceli in casa: Amazon ha dichiarato di aver venduto diverse decine di milioni di Echo negli Stati Uniti, mentre Google parla di una vendita al secondo da quando ha introdotto i suoi sistemi sul mercato. Il tema privacy è ovvio ma non vogliamo rinunciare alle comodità che essi offrono. Anche restando allo stesso Facebook, non abbiamo visto poi grandi esodi dopo il caso Cambridge Analytica: stare in contatto con i nostri amici è più importante.

Non sfugga che il valore di scambio offerto da certe piattaforme sa prendere sembianze molto persuasive a cui è veramente difficile dire di no: inclusione sociale, appartenenza, comodità, relazione affettiva, leadership di pensiero…

Insomma, la sensazione è che seppure l’opinione pubblica possa manifestare preoccupazioni crescenti sulla salvaguardia dei dati, alla prova dei fatti queste preoccupazioni non diano seguito a cambiamenti significativi di comportamento.

Di questo sembra essersi accorta la borsa che non penalizza più di tanto il valore azionario di Facebook o degli altri giganti. Di questo si sono accorte anche le aziende  la cui stragrande maggioranza non ha ridotto gli investimenti (l’abbandono è stato sporadico, e non unilaterale)

Questa non è una tacita rassegnazione, né un grido di gioia di chi con questi sistemi ha la fortuna di lavorare, ma una presa di coscienza che se qualcosa deve essere fatto, deve essere fatto soprattutto per salvare gli utenti non dalle grandi compagnie tecnologiche ma prima di tutto da se stessi.

E’ chiaro che non ho la soluzione ma credo che il primo passo sia attivarsi per evitare, quanto possibile che si vengano a creare alternative insensate tra cui scegliere: privacy o comodità? Privacy o qualità?…

Sarebbe auspicabile uno sforzo sistemico di tutti gli attori in gioco che faccia emergere il senso di responsabilità comune.

Dal legislatore che oltre a definire i limiti degli abusi imponga anche la predisposizione di dinamiche semplici e chiare per la gestione dei dati da parte degli utenti (in Italia siamo un passo avanti e con la GDPR avanzeremo ancora assieme all’Europa intera), alle media companies ed ai player della comunicazione che non possono giocare con la fiducia dei loro fruitori, pena la messa in discussione degli investimenti delle aziende, fino ai sistemi educativi che dovrebbero favorire uno spirito critico ed un uso consapevole delle tecnologie…

Infine, come è giusto che sia, laddove si genera un nuovo bisogno non tarderanno ad arrivare nuove offerte commerciali: servizi finalizzati alla salvaguardia dei dati o integrazioni ‘premium’ ai servizi esistenti. Lo stesso Zuckerberg con la sua frase ‘There will always be a version of Facebook that is free’ ha annunciato una possibile evoluzione in chiave freemium di Facebook (resta da capire se pagheremmo per non ricevere pubblicità o per salvaguardare la sicurezza dei nostri dati, magari entrambe ma non è per forza la stessa cosa.) Potrebbe non essere l’unica soluzione. Stiamo a vedere”.