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L’Italia che innova. Parola alle Startup: vi presentiamo PetMe. Pensateci, prima della sua nascita, tutto si poteva trovare e prenotare sul web meno che un pet sitter. E chi ama il suo animale sa quanto la carenza rappresentasse un problema. Soprattutto perché qui il servizio va ben oltre

Ne parliamo con Carlo Crudele, co-fondatore, con Alice Cimini, di PetMe.

“L’idea alla base di PetMe nasce nell’estate del 2013, grazie a un problema squisitamente personale. Io e la mia compagna Alice, freschi di trasferimento in un paesino dell’hinterland milanese, avevamo programmato un mese di vacanza negli Stati Uniti. Ma avevamo fatto i conti senza l’oste, la nostra cat-sitter non era disponibile a spingersi fuori Milano e i nostri due gatti (di cui uno diabetico) rischiavano grosso. Per fortuna, dopo lunghe ricerche, ce ne è capitata a tiro una brava. Ma il dubbio rimaneva, perché potevamo prenotare in tutta facilità un appartamento a Brooklyn via web, mentre per trovare un pet-sitter avevamo dovuto sudare sette camicie? Quindi, una volta tornati in Italia, ci siamo messi al lavoro sull’idea e il 18 marzo 2014 abbiamo ufficialmente varato PetMe, il ‘social network’”.

L’idea è venuta a voi due, compagni nella vita e nella passione per gli animali. Ma com’era prima della nascita di PetMe la vostra vita professionale, di che cosa vi occupavate?
“Alice, nata a Lanciano nel 1975, laurea in lingue straniere e Master in comunicazione d’impresa, dal 2000 è account in storiche agenzie milanesi come Open House e Opinion Leader, con all’attivo esperienze nel product placement e nell’organizzazione di eventi. Io, nato a Salerno nel 1979 e laureato in Scienze politiche, sono autore satirico, traduttore per network tv e case editrici (Mondadori, Discovery Channel) e startupper dal 1998, quando tirai su MusicbOOm, uno dei primi magazine musicali del web italiano. Con Alice, prima di PetMe, abbiamo ideato Twoorty (twoorty.com), la ‘knowmunity’ in cui gli utenti si incontravano per affinità culturali invece che per semplici amicizie in comune”.

Perfetto, tutto meno che ‘dilettanti allo sbaraglio’ visto che una certa esperienza in start up l’avevate già collezionata. Qui, però, chi vi ha dato una mano?
“Ci siamo riusciti con tanto impegno e un sacco di cocciutaggine, che in Italia serve, visto non ti vengono certo offerte scorciatoie. Il primo finanziatore è stato pescato – come direbbero gli americani – tra i ‘friends and families’. Il fratello di Alice, infatti, ha creduto nel progetto e ci ha dato un gruzzolo iniziale con cui abbiamo potuto assoldare un’agenzia in gamba. Ma ben presto è arrivato un nuovo venture capital a dare più fiato al progetto, a cui oggi si stanno interessando in molti – e non solo in Italia – anche da un punto di vista del funding”.

E’ chiaro si tratti di un progetto di recruitment di pet sitter, ma non solo, perché altrettanto forte è la sua anima social. E che altro, ci raccontate il cuore di PetMe?
“E’ un progetto di ‘passione’. Per gli animali in primis, ma anche per una visione del web utile, che risolve problemi all’utente, che semplifica la vita. In PetMe i padroni di animali si iscrivono inserendo i propri dati personali e quelli dei propri animali (cani e gatti, ovviamente, ma anche roditori, pesci e persino iguane…), così, nel momento del bisogno – una vacanza, un viaggio di lavoro, un’assenza improvvisa – potranno cercare il pet-sitter che fa per loro, compatibile con la propria tipologia di animali, geograficamente vicino e valutato da chi lo ha già ‘prenotato’ prima. Allo stesso modo, i pet-sitter di ogni parte d’Italia possono iscriversi inserendo i propri dati personali, la tipologia di ‘sitting’ praticata (pet-sitting a domicilio e/o house-sitting), gli animali trattati, le tariffe ed eventualmente le proprie certificazioni, diventando per loro più semplice farsi trovare dai potenziali clienti della loro zona. PetMe, oltre a garantire i pet-sitter tramite il giudizio della community, offre l’assistenza veterinaria gratuita durante tutto l’arco del pet-sitting e, molto presto, la possibilità per i pet-sitter di ottenere una sorta di ‘validazione’ da parte della prestigiosa scuola Obiettivo Pet-Sitter Italia. Insomma, vogliamo che su PetMe padroni, pet-sitter e ovviamente animali abbiano le spalle coperte!”.

E il modello di business?
“Per ora è estremamente semplice: al momento della prenotazione PetMe trattiene una minima percentuale della somma, dividendola tra pet-sitter e proprietario. Una piccola, trasparente retribuzione che copre i costi di servizio e l’assistenza veterinaria. L’idea è però quella di implementare altre forme di revenue (sponsorizzazioni, partnership incrociate), che non vadano ovviamente a pesare sugli utenti ma che anzi offrano loro servizi aggiuntivi”.

A che punto siete, quali i problemi-opportunità dovete risolvere- sfruttare?
“Siamo partiti il 18 marzo e in pochi giorni abbiamo registrato un boom  di iscrizioni, con molta soddisfazione. Perciò, possiamo già iniziare a portare avanti gli step di estensione del network PetMe a tutti gli operatori del ramo ‘pet’, dai veterinari alle strutture turistiche pet-friendly passando per canili e gattili. L’opportunità è il poter operare su un settore come quello degli animali, su cui in ambito digitale c’è ancora tanto da fare. I problemi sono quelli di ogni startup che si rivolge al pubblico, fornire un servizio utile, di qualità, sicuro, comprensibile e senza intoppi. Che non è uno scherzo e inevitabilmente mette alla prova sul campo con l’esperienza empirica”.

Avete dei competitor e cosa offrite di più e di diverso?
“C’è qualcosa nel ramo animali sul web, ma si tratta di siti specifici per tipologia di animali o per scelta di servizi. PetMe è più ampio, già oggi offre una gamma di possibilità che nessun altro sito contempla, ma punta ad andare molto oltre, diventando un punto di riferimento affidabile e risolutivo per chiunque abbia – o semplicemente ami – gli animali”.

Quanto tempo date alla vostra start up per  vincere sul mercato e cosa deve realizzare, insomma, sarà un successo se…?
“Le nostre valutazioni preventive puntano ad un rapido raggiungimento del breakeven… ma ovviamente – per rimanere in tema – non diciamo gatto finché non ce l’abbiamo nel sacco. Sarà un successo quando l’utente medio amante e/o possessore di animali penserà a PetMe come naturale punto d’approdo per le proprie esigenze”.

Visto che sei un veterano in tema start up, come la vedi, sono più gli startupper che ce la fanno con la prima idea, o la forza sta nella teoria delle probabilità?
“Io sono alla mia terza startup (la prima è del 1998, quando ancora non si chiamavano startup ma semplicemente buone idee) e Alice alla seconda. Sono state tutte ottime iniziative, che in termini di esperienza e background consentono di individuare meccanismi e opportunità, col tempo e la pratica si impara a non fare sbagli. Perché, di idee del secolo ne abbiamo avute tutti almeno un paio nella vita. Il vero problema sta nel realizzarle e nel portarle concretamente avanti. Per questo forse è meglio un po’ di palestra, prima di pensare a sbancare”.

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