Youmark

Linkontro 2015: sono queste le storie da comunicare. Perché non c’è mercato se non ci sono imprese che tirano, territori che funzionano, individui preparati e occupati, portafogli un po’ più pieni. E’ l’Italia che fa sistema a vincere, burocrazia nonostante. Che i comunicatori aiutino il processo, sostenendola

E le storie cui facciamo riferimento sono quelle di Franco Bercella (ascoltalo al microfono di youmark), che riconoscendo nella Dallara Automobili (azienda italiana costruttrice di auto da competizione, fondata nel 1972 a Varano de’ Melegari – Parma dall’ingegner Gian Paolo Dallara, con competenze top in progettazione e produzione, utilizzando materiali compositi in fibra di carbonio, l’aerodinamica e la dinamica del veicolo) il fulcro leader del distretto da cui molte altre realtà hanno preso vita, a partire dalla sua, in connessione con un territorio da cui prendere e dare, in osmotica reciprocità. Dalla formazione dei giovani attraverso gli anziani alla piena occupazione.

Di Vito Varvaro, tornato nella sua Sicilia a 60 anni, dopo un trascorso da ad in multinazionali ha trasformato l’azienda vinicola Cantine Settesoli nella più grande realtà europea (assurdo sentire che la manifestazioni di settore italiane, eccezione Vinitaly, la escludano perché too big), coniando il termine di Cooperativa manageriale. Ovviamente perché la preparazione è tutto, con l’inglese a farsi condizione sine qua non per i giovani, che devono pensare in termini di mercato globale.

Ma anche quella di Discovey Group, con la sede italiana che da filiale sputo nel mondo è oggi entrata tra i five country del gruppo, grazie alla strategia perseguita dal team di Marinella Soldi (a settembre il lancio della loro prima generalista Deejay Tv).

E l’elenco potrebbe non essere che all’inizio, considerando in quanti tra i rappresentanti delle aziende in sala si sono sentiti pienamente d’accordo e partecipi di un cambiamento che solo loro e le loro aziende possono realizzare, certamente pro business, ma pure pro territorio, occupazione, giovani a paese. Perché a ridurla all’osso, l’economia deve essere sistema win win, tale da superare la logica di sterili numeri per abbracciare quella di un benessere tout court, che è altra storia.

La ricetta? Per dedurla, partiamo da quanto ancora non va. Ok, la burocrazia, l’immobilismo delle istituzioni, la corruzione, ma in tali ambiti, purtroppo, poco possiamo fare, se non rimboccarci le maniche e non mollare.

Venendo a quanto direttamente ci compete, invece, siamo una marea di piccole realtà che troppo spesso si guardano in cagnesco, o, alla meno peggio, restano così concentrate nell’attenzione al proprio orticello, da lasciarsi scappare tutte le vaste opportunità che il fare sistema garantirebbe. La lingua continua a essere barriera al successo. Perché la nostra nel mondo sono in pochissimi a parlarla.

E siccome il mercato che garantisce crescita è globale, l’inglese diventa must. Ma uno di quei must che i giovani si devono sottolineare per tre volte con l’evidenziatore più fosforescente che hanno. Oggi nessuno fa carriera senza l’inglese.

Dobbiamo, poi, insistere sulla formazione. Manageriale (la storia di Urbano Cairo insegna. Perché il suo ‘impero’ poggia più sulla capacità di efficienza, di taglio non lineare dei costi, di ottimizzazione senza rinunciare alla qualità – vedi La7, nessun taglio ai top, anzi c’è pure stata la new entry di Floris, mettendo i conti a posto, azzerando i 100 milioni l’anni di perdita, che Telecom accumulava da 10 anni, nonostante un mercato degli investimenti pubblicitari che piange) ma anche specialistica per quelle funzioni che non si trovano già pronte nei percorsi tradizionali e per le quali le stesse imprese diventano scuola determinante (potrebbe essere ottimo sistema per impiegare i pensionati, normativa permettendo). Ovviamente investire sui giovani e sul digitale, per tutti e ovunque.

Motivare. Così come nel mercato è il consumatore a essere protagonista, anche in azienda lo deve diventare il lavoratore, perché se il credo è diffuso, c’è successo (interessante l’esperimento L’Oreal di smart work, con la possibilità per ogni dipendente, quelli dello stabilimento per ovvie ragioni esclusi – tra l’altro forse in pochi sanno che quello italiano è il più produttivo nel mondo, con 773 milioni di pezzi, al 93% destinati all’estero, il tutto grazie all’automazione, realizzata da progetti di piccole realtà nostrane – di lavorare per un totale di ore corrispondente a un mese all’anno, da dove vuole. Dimostrando che a contare non sono le ore in ufficio, ma i risultati).

Quello che va, vi state chiedendo? La nostra grande inventiva. Lo stile, la qualità, l’eccellenza, il mood, la creatività, il gusto, la capacità di osare, il sapersela cavare escogitando soluzioni inattese. Ma tutto ciò va messo a sistema. Sistema sia nel senso di condivisione, che di regole, norme, meccanismi, contesti virtuosi che sappiano viralizzare il talento. Dicendo magari basta a quella certa tradizione che ricalca da troppo gli stereotipi di un’Italia spaghetti e mafia, per trovare una nuova via, che esalti sì il passato, ma facendoci assaporare un glorioso futuro.