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Chi fa il media oggi – Attilio Redivo/MediaCom: essere a capo di un’agenzia significa avere l’opportunità di interpretare il cambiamento in un mondo in continua e rapida evoluzione. Non ci si annoia proprio

Tra il professionale e il personale, il primo piano dei come, perché e quando del ceo MediaCom

Usa il meno parole possibili per raccontare chi sei, senza tralasciare nulla di importante, ossia quanto secondo te è basilare sapere

Curioso, appassionato, aperto, serio ma giocoso, ambizioso, determinato, tenace, quasi testardo, attento e aggiornato, sereno, marito e padre, studioso e insegnante, gentile.

Nel lavoro la personalità fa la differenza. Insomma, dimmi chi sei e ti dirò come pianifichi?

Dimmi chi sei e ti dirò se pianifichi! Certo, nel lavoro come nella vita la personalità conta, anche se non è la sola ad influire. Ci vuole metodo ed applicazione, occorre avere qualità di base ed aiuta moltissimo una buona dose di fortuna.

Essere a capo di un’agenzia media oggi significa…

Avere l’opportunità di interpretare il cambiamento  in un mondo in continua e rapida evoluzione. Non ci si annoia proprio.

Era digital, new digital, post digital, o semplicemente era contemporanea?

Forse il termine più inappropriato è proprio ‘era’: richiama le ere geologiche, periodi di tempo molto lunghi. Oggi facciamo i conti con la velocità impressionante del cambiamento, una velocità che da una parte ti stimola a cercare di capire e dall’altra ti lascia talvolta la sensazione, un po’ ansiogena, di esserti perso qualcosa.

Tecnologia fa rima con…?

Fantasia: leggevo qualche giorno fa un bellissimo articolo in cui si commentava il rischio di affidarsi acriticamente agli algoritmi per risolvere ogni problema. Credo che, nonostante la tecnologia sia una bellissima cosa, occorre equilibrio. Bisogna usarla come un mezzo non elevarla a fine: ricordarsi di mantenere la persona al centro ritengo sia fondamentale.

L’innovazione che tu hai voluto per il tuo centro media e di cui sei più fiero

Capire prima di altri che occorresse un approccio integrato alla pianificazione su tutti i canali di comunicazione e, per questo, affiancare i planner digital e quelli dei media classici. Ci ha consentito di dare il giusto peso all’interazione nelle strategie di comunicazione dei clienti.

Quanto conta la sigla, insomma chiamarsi in uno o nell’altro nome, fa la differenza, o quella la fanno le persone?

Non è tanto il nome, quanto quello che questo nome rappresenta: il posizionamento e l’immagine percepita per gli altri, i valori per chi ci lavora. Sul percepito di MediaCom dobbiamo ancora lavorare: i nostri clienti/partner che ci conoscono hanno sicuramente un ottimo vissuto, sia delle persone sia del servizio; purtroppo sono un numero relativamente contenuto, dobbiamo aumentare notorietà e salienza. I nostri valori, incarnati in ‘People first, better results’, sono invece importanti e sono contento del clima aziendale. Si può sempre fare meglio, ma siamo ad un livello importante.

E i gruppi, sono influenti?

Dipende. Per quanto riguarda GroupM, il gruppo è importante. Nonostante la concorrenza fra le agenzie che ne fanno parte, a mio parere il Gruppo ci da importanti vantaggi: non solo qualche economia di scala, ma soprattutto la possibilità di innovare più e prima degli altri.

Comunicazione fai da te. Mai perché…

Chi fa da sé è convinto di fare bene, difficile convincerlo del contrario. Probabilmente, se non si affiderà ad agenzie, a consulenti preparati, non sentirà nemmeno il bisogno di misurare i risultati dopo l’attività. In questo modo, qualche telefonata di amici o le voci raccolte al bar saranno sufficienti per decretare il successo o il fallimento dell’operazione.

Una volta bastava schiacciare il bottone del buying. Oggi invece devi…

A me non è mai capitato. Uno dei problemi delle agenzie media è proprio aver fatto credere che tutto fosse facile, che bastasse schiacciare un bottone, con i brief che arrivavano la sera e la presentazione pronta al mattino. Ovviamente il tutto facendosi pagare pochissimo. Una pessima abitudine che autorizza chiunque a svalutare ciò che facciamo. Quello che è cambiato è: la quantità di dati da elaborare, la velocità della risposta e, ultimamente, il nervosismo legato alla crisi economica che da noi in Italia si fa sentire più che altrove.

Che scenario di comunicazione prevedi per il prossimo futuro, facendo i conti con la crisi e con il cambiamento avvenuto nel panorama media?

Il mercato della pubblicità si sta attestando su valori complessivi molto più contenuti rispetto ai 10 miliardi del 2008, raggiungendo un livello di circa due terzi rispetto ad allora. Ci vorrà molto, moltissimo, tempo prima di tornare a quei livelli. L’altro dato importante è la crescita dell’offerta di pubblicità o, meglio, di comunicazione, con nuovi operatori che nascono ogni giorno. Occorre che le strutture che operano in questo scenario siano pronte a riorganizzarsi in funzione di questo, devono modificarsi le modalità di lavoro e con esse gli assetti organizzativi da parte di tutti i player.

Il cliente che tutti vorrebbero?

Gli altri non so. Io, proprio qualche giorno fa, ho risposto Apple, un’azienda per la quale ho lavorato in passato. Perché un brand straordinario può permettersi strategie coraggiose, diverse, distintive e anche per questo efficaci. Per fortuna non è l’unico e, qualche volta, ci sono aziende che vogliono osare insieme alle agenzie, prendendosi un – piccolo –  rischio calcolato. Sono strategie vincenti.

13) Quello da evitare?

Di questi tempi vanno bene tutti!

14) Si tornerà all’agenzia a servizio completo quale prerogativa per la sostenibilità del business della comunicazione?

L’agenzia a servizio completo mi pare un po’ come Shangri-la. Tutti la sognano, ma nessuno sa come arrivarci. Quando c’erano, io ho cominciato proprio in un’agenzia a servizio completo, non erano mica tutta questa meraviglia. Io credo che l’agenzia abbia abdicato al ruolo di guida del processo di comunicazione quando ha concentrato l’attenzione sulla creatività. Non che la creatività non sia fondamentale, anzi, ma la guida spetta a chi conosce i meccanismi di funzionamento della comunicazione e le metriche che determinano il successo o il fallimento di un piano di comunicazione. A chi è indipendente da questa o quella scelta.

Da chi professionalmente hai imparato di più e perché (spazia anche tra guru esteri o teorici)

Ho avuto la fortuna di avere molti maestri, se devo citarne uno, è Vittorio Marco Meroni: mi ha trasmesso la curiosità e la passione per l’innovazione. Aveva anche una naiveté che gli consentiva intuizioni geniali.

Il tuo competitor che più stimi è? (perché?)

Google, perché hanno inventato un modello di business straordinario estremamente integrato ed hanno una capacità enorme di investire in tecnologia e questo li aiuta ad essere molto efficienti.