Youmark

Finisce una relazione, svanisce un progetto, si perde il lavoro. Storie contemporanee di interazione tra sentimenti e professione. Tra cuore e mente. Tra pubblico e privato. Con il web che si fa espediente, complice, causa. E diventa pure creativa soluzione. Avete sentito parlare di #unLavoroperJacopo?

Bene, è presto detto: Jacopo Paoletti cerca lavoro e per trovarlo crea il suo contesto virtuale: #unLavoroperJacopo. Youmark lo ha incontrato per saperne di più.

Come ti è venuta l’idea e che risultati stai raccogliendo?
“Intanto grazie per questa opportunità. Provo a fare una piccola premessa, sperando di non annoiare nessuno. Da circa una decina d’anni lavoro in contesti aziendali nell’ambito della comunicazione digitale, in pratica provo a far parlare le aziende con i propri clienti su canali nuovi, cercando di creare fra questi soggetti un rapporto nuovo, umano, e sempre all’interno di un reale scambio: una conversazione fra pari che non dimentichi di esser fatta da persone.

Nell’ultimo anno, per amore, ho abbandonato la mia precedente occupazione in un’importante multinazionale gdo/gds nel settore dell’elettronica di consumo (Mediaworld, Jacopo si occupava da qualche anno della loro piattaforma e-commerce lato IT, ndr), per potermi dedicare interamente ad un progetto di personal branding online insieme alla mia compagna (Michelle Bonev, con cui ha fondato l’omonima associazione, ndr), progetto che la vedeva coinvolta direttamente in quanto già personaggio pubblico in ambito cinematografico-televisivo.

Questa estate però ci siamo lasciati e, come purtroppo accade spesso in queste situazioni, quando cioè si mescolano sentimenti e professione, ci si trova a perdere sia la persona amata che il proprio lavoro. Così, mi sono ritrovato letteralmente da un giorno a un altro, ed in pieno agosto, a dover ripensare da solo e da zero il mio presente, e soprattutto il mio futuro, sia personale che professionale.

Nonostante il dolore per la fine di un rapporto, in cui avevo messo e scommesso tutto me stesso, e quell’apparente sensazione di impotenza che hai quando senti di non poter cambiare la tua realtà, dovevo agire, soprattutto per evitare di distruggermi nell’autocommiserazione, nel vittimismo, o in ciò che poteva essere e non è stato.

Ho iniziato dall’unica cosa, forse la più tradizionale, che si può fare in questi casi: inviare curriculum. Tanti. Perché riprendere il lavoro mi avrebbe aiutato almeno a riempire il tempo, per non pensare al resto. Ma non bastava. Così, sulla falsa riga di #unaMacchinaperRudy mi sono detto ‘perché non tentare una campagna di buzz marketing sui social per provare a cercare un lavoro’? E così, tra l’ironia e la provocazione, è nato #unLavoroperJacopo.

Devo ammettere che, nonostante il periodo estivo agostano e le inevitabili assenze dai luoghi di lavoro, sono arrivati veramente tanti ‘interessamenti’ per #unLavoroperJacopo, con davvero proposte di ogni tipo. Comprese le più assurde, ovvio. Certo, ora la speranza è concretizzare almeno uno di questi contatti in un lavoro vero e proprio. Ma, anche se non fosse così, anche se il lavoro non dovesse arrivare da qui, non è importante. Dal 10 agosto 2014, giorno in cui ho pubblicato lo status su Facebook e il tweet su Twitter di #unLavoroperJacopo, è trascorso un mese, con oltre 600 retweet su Twitter e quasi 2000 condivisioni su Facebook, con centinaia di commenti, messaggi privati, con tantissimi post e articoli su blog e stampa nazionale (da Il Sole 24 Ore a La Stampa, fino a Panorama, ndr). E il merito, credetemi, non è il mio, ma di tutte quelle persone che ancora credono che le cose più assurde possano davvero accadere, che magari un happy ending è possibile.

C’è comunque una cosa che mi colpisce ancora, dopo tanti anni online. E’ come se le persone sentano tutto, al di là di quello che si voglia far credere loro. Sanno già, senza alcun bisogno di spiegazioni, quello che è successo, quello che uno vive: se stai bene, se stai male, se fingi o sei vero, se lo fai per interesse o se ci credi davvero. Fino a sapere esattamente cosa stai vivendo in quell’istante, senza che tu abbia detto nemmeno una parola. Non c’è scampo. Lo percepiscono, fino alla radice. Come se in fondo tutti sapessimo e sentissimo sempre la verità, oltre tutte le parole dietro cui ci nascondiamo, che ci possiamo dire, inventare, raccontare. E’ quasi magia. Ancora oggi mi emoziona e ogni volta che accade e me ne accorgo mi fa sentire meno solo. ‘È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi’, esattamente come scriveva Antoinede Saint-Exupéry ne Il piccolo principe“.

Ma tu oggi che lavoro cerchi?
‘Cosa vorresti fare da grande’, insomma. Credo sia la domanda delle domande, soprattutto in questo momento. Mi piacerebbe poter mettere le mie competenze al servizio di qualcuno che è disposto veramente a crederci, per poter crescere insieme. Ma sono pronto anche a ricominciare, se serve. A cambiare tutto e a cambiarlo ancora. A imparare cose nuove e disimparare ciò che credevo di sapere”.

Secondo te dove potresti fare la differenza?
Sulla verità. Sul serio. Oggi ancora troppe aziende e brand parlano un linguaggio finto, artefatto, costruito dentro le agenzie, nelle direzioni marketing e comunicazione, distante dalle reali conversazioni che le persone, i loro utenti, i loro clienti, i loro consumatori, già fanno altrove su di loro, spesso senza che loro nemmeno lo sappiamo. Tanto per fare qualche esempio, l’approccio pubblicitario basato sul claim (‘Più bianco non si può’), o su imperativi che puntavano all’autoaffermazione del marchio, semplicemente non fanno più breccia, o perlomeno non sono più sufficienti da soli. Anche la comunicazione basata sugli istinti ha dimostrato che non si può alzare l’asticella delle emozioni all’infinito. Serve qualcosa di più profondo, e questo qualcosa è ‘parla con loro in modo vero, come fra loro parlano di te’.

Questa cosa apparente semplice, che forse si sintetizza in una frase, sembra non essere altrettanto facile da fare in organizzazioni complesse, dove esistono resistenze di ogni tipo al cambiamento. Ma questo cambiamento è nei fatti già in atto da almeno una decade, che lo si voglia o no. Basti pensare che il Cluetrain Manifesto è stato scritto nel 1999, eppure ancora oggi siamo ben lontani dalla consapevolezza su questi temi all’interno di realtà aziendali di ogni dimensione, anche fra gli addetti ai lavori.

Eppure, in Italia non mancano di certo le persone che conoscono bene questi argomenti e che con fatica, da anni, ne parlano. Mi viene in mente su tutti l’illuminante Invertising di Paolo Iabichino, come basterebbe farsi un giro su [mini]marketing di Gianluca Diegoli). Insomma, qui non si tratta di capire che il modo di fare comunicazione sta realmente cambiando, perché questo è già nelle cose da un bel po’, ma essere fra i primi a rendersene conto concretamente e mettersi al timone di questo cambiamento”.

Sembri essere uno di quelli che se ne intende. Perché, allora, è così difficile trovare lavoro, colpa solo della crisi?
“Credo che #unLavoroperJacopo sia la dimostrazione in chiave personale di quanto il problema del lavoro e della relativa disoccupazione non sia solo un problema generalizzato, ma di quanto sia oggi ‘IL’ problema, e di come questo sia nei fatti lo spettro che tutti combattono. Sono convinto che molte persone hanno esorcizzato, nella condivisione di questo messaggio, la paura di trovarsi nella stessa condizione. E le capisco, perché in questo modello sociale, nella società dell’apparenza e dell’apparire, senza alcuna reale cultura del fallimento, ci hanno fatto credere che se perdi quello che hai, perdi tutto ciò che sei.

Trovandomi ora in questa condizione, e quindi senza nessuna retorica, posso affermare come non sia così, ma che anzi, è piuttosto facile il contrario. ‘Siamo tutti Jacopo’, ha scritto uno sconosciuto condividendo il mio status. Forse siamo tutti solo molto più soli in questo mondo interconnesso, e se qualcuno svela ciò che è già sotto gli occhi di tutti, la verità ha un effetto domino inevitabile e ci si ritrova finalmente in tanti uniti dalla stessa parte. ‘Nel paese della bugia, la verità è una malattia’ scriveva Gianni Rodari. Speriamo che il contagio, prima o poi, inizi sul serio anche su altri fronti”.

Ci fai pubblicare il tuo cv, così se qualcuno leggendo l’intervista fosse interessato a te, può contattarti?
“Certo! Trovate il mio curriculum qui, sperando che a qualche lettore interessi”.

In bocca al lupo
Non ho ancora capito cosa si deve rispondere in questi casi, o quali scongiuri fare. Scherzi a parte, sinceramente, non so ancora come finirà tutto questo. Se il lavoro arriverà o meno tramite #unLavoroperJacopo. Ma in questo momento non credo sia fondamentale. Quello che conta forse è il passaggio, aver avuto l’opportunità di poter vedere tutte queste cose da un punto di vista diverso.

Mi viene in mente il monologo con Brad Pitt nel film ‘‘Il curioso caso di Benjamin Button” di David Fincher, ispirato all’omonimo racconto di Francis Scott Fitzgerald: ‘Per quello che vale, non è mai troppo tardi, o nel mio caso troppo presto, per essere quello che vuoi essere. Non c’è limite di tempo, comincia quando vuoi, puoi cambiare o rimanere come sei, non esiste una regola in questo. Possiamo vivere ogni cosa al meglio o al peggio, spero che tu viva tutto al meglio, spero che tu possa vedere cose sorprendenti, spero che tu possa avere emozioni sempre nuove, spero che tu possa incontrare gente con punti di vista diversi, spero che tu possa essere orgoglioso della tua vita e se ti accorgi di non esserlo, spero che tu trovi la forza di ricominciare da zero’.”