La possiamo considerare risposta rilevante in merito alla questione sul futuro assetto del mercato, su cui ci stiamo interrogando. Se non altro perché i fratelli Di Rosa (oggi partner EY), Mauro (presidente) e Franco (alla guida di Dgt Media, realtà di digital advertising), al Gruppo che hanno fondato tengono non poco. Un team di 150 persone, tra Torino, Milano e Roma. 16 milioni di fatturato, di cui il 40% grazie all’advertising (In Adv), 40% al digital e il resto suddiviso tra rp, eventi, retail, media. Insomma, un gruppo di comunicazione integrata a tutto tondo. Tanto che in EY lo hanno soprannominato il Wpp Italiano.
“Non vedo Barbari – esordisce Di Rosa ricollegandosi alla riflessione di Emanuele Nenna, presidente Assocom – ma solo la volontà di dare un nuovo profilo ai contenuti professionali”.
Ma è innegabile che un po’ di paura questi astri nascenti la mettano. Anche perché non si tratta di caso isolato, ma di trend, che accomuna il mondo. Nell’era del dato e della tecnologia, i colossi della consulenza, che hanno saputo restare saldi nella valorizzazione dei loro plus, evitando il pericolo commodity-fornitura, stanno alzano la testa sulla comunicazione. Sono partiti dal digital, rastrellando qua e là realtà interessanti, ma ora la posta in gioco è altra (ricordiamo, ad esempio, che Ibm nel 2016 si è comprata Ammirati, così come emblematico è il nuovo nome al vertice della marketing intelligence globale di Accenture, che i rumors danno anche quale prossima ‘proprietaria’ del Gruppo Publicis. E poi la stessa EY ha già al suo attivo Nery Wolff).
Scacco matto alla comunicazione? Chissà. Certo è che in tutti qualche ragionamento deve sorgere. Se non altro in ragione a pesi e posizionamenti. Ammettendo anche i propri errori. “In primis – come ci dice Di Rosa – quello di aver perso lo scettro della consulenza, facendosi mettere con le spalle al muro schiacciati dall’abbassamento dei fee. Non temo per la creatività. La creatività non deve ridursi solo all’esecuzione, al bel film, deve portare idee vere al prodotto, al business. Il valore sta nel difendere le idee, perché centro di qualsiasi progetto di marca.
Abbiamo detto sì a EY perché con loro andiamo a integrare competenze che in altri gruppi avremmo duplicato. Qui non dobbiamo tagliare nulla e entriamo a far parte della loro piattaforma relazionale. Abbiamo già iniziato il lavoro di comunicazione interna, lo scopo è l’arricchimento dei loro processi delle componenti branding e comunicazione, così da valorizzare le marche anche con il nostro contributo, oltre che attraverso la loro peculiare consulenza. Insieme, abbiamo piani di crescita e sviluppo ambiziosi”.
E come la mettiamo con l’ipotesi che proprio queste società di consulenza abbiano acceso la miccia del ‘saldo’ della comunicazione, allarmando le aziende sui compensi che davano ad agenzie e centri media? “Ribadisco. L’ipotesi non sta in piedi. Qui la consulenza ha valore. Anzi è il valore. Che le agenzie e il resto del mercato traggano le debite conclusioni. Perché il divenire l’hanno determinato loro”.