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Cosa succede alla creatività? Francesco Guerrera: la sbornia di dati riguarda i big spender, dunque le big agenzie. Vedo un futuro di grandi cambiamenti, di necessarie modifiche del modello base e di ricerca di personalità forti. Ma non sono preoccupato per la mancanza di idee, almeno per ora

Ecco le testuali parole del direttore creativo di Le Balene, sollecitato al tema dalla nostra domanda sulle sorti della creatività.

“Proprio una settimana fa ho citato durante uno speech a Minsk al White Square Festival un articolo letto su Advertising Age nel quale Marc Pritchard (Ceo P&G World Wide) ha detto: ‘The days of giving digital a pass are over, It’s time to grow up. It’s time for action’.  

Poi, proseguendo nell’articolo, si approfondiva proprio il fatto che anche i clienti più esigenti come P&G non ne possono più di numeri e dati inutili e che (questa volta vado a memoria) i medesimi dati non hanno spostato di un centesimo il business in questi ultimi 10 anni.

Bene, l’affermazione mi ha fatto ovviamente riflettere sull’attuale condizione italiana. Siamo ancora troppo ‘sbronzi’ di numeri per renderci conto che proprio questi numeri non servono ad altro che gratificare chi li richiede e quindi i clienti stessi.

Se guardo all’Italia, e parlo delle agenzie a questo punto, non vedo la sbronza. Vedo tanto bel lavoro, vedo tanta fatica e tante difficoltà.

E le vedo con un occhio un pò particolare. Infatti, dopo 17 anni di vita in ‘Big’ agency, ora, dal comodo oblò di una Balena, vedo la grande fatica che ogni giorno devono fare quelle agenzie che sottostanno alle dinamiche incoerenti dei big spender.

Attenzione la mia non è una critica, è solo l’osservazione di una realtà ormai sotto gli occhi di tutti, ma che si fa fatica a digerire, proprio perché unica dinamica possibile se si è all’interno di certe agenzie.

La lettera di Bernbach l’avrei vista più attuale 5/6 anni fa. Adesso siamo decisamente in una fase in cui l’idea è la cosa più importante, forse più di prima.

Certo, sono cambiati i mezzi, sono anche cambiati gli interlocutori e vi è una cultura media più diffusa, seppur parecchio più bassa, ma già da anni è in atto una grande conversione verso le idee con la I maiuscola. I meccanismi, il click facile o il fumo negli occhi da Reach sono, a mio avviso, in fase calante.

Non è un segreto il fatto che si veda molta meno pubblicità fake (o scam ads) in Italia e questo grazie a un attento lavoro della associazioni di settore, in primis l’Adci, che ha saputo negli anni rinnovare e fortificare la posizione verso un lavoro di qualità. Festival come IF! sono il momento perfetto per discutere ma anche rendersi conto che la creatività senza la cultura della creatività è abbastanza vuota.

Ci sono poi un altro paio di considerazioni da fare. La prima è l’età media dei creativi nelle agenzie. Ho notato un abbassamento drastico dell’età dovuto, ahimè, al lungo periodo di crisi in cui i ‘senior’ sono stati davvero falcidiati. Questo è un gravissimo problema da tanti punti di vista. Primo, perché proprio i senior sono depositari della cultura dei brand e dell’agenzia stessa e poi perché sono proprio loro a crescere ed ispirare le nuove leve verso una qualità sempre più alta del lavoro.

La seconda considerazione è un pò più endemica, cioè guarda alla grandezza delle agenzie e al loro modello di business. Il modello basato sul timesheet è fallimentare per definizione; come si fa a misurare il tempo in cui ti è venuta un’idea?

Ma soprattutto come si fa ad applicare un modello estero ad una nazione come la nostra, che ha fatto del calore umano, del tempo da dedicare ai dettagli e all’approfondimento, la sua caratteristica più importante e riconosciuta, tra l’altro, in tutto il mondo?

Noi siamo culturalmente diversi dagli inglesi, così come dai tedeschi, dai francesi e, più che mai, dagli americani. I modelli di agenzie anglosassoni con decine di livelli e decine di figure professionali super specializzate infatti sono state messe a dura prova ed hanno subito pesati smottamenti.

Ci sono agenzie che hanno totalmente perso il carattere che le distingueva, hanno anche perso le sedi storiche che erano punto di riferimento per i giovani e, perché no, anche per la città stessa.

Difatti, se guardiamo alle case history più importanti degli ultimi anni in Italia e non sapessimo chi le ha fatte, sarebbe impossibile riconoscere l’agenzia. Grandi idee, poca personalità. Forse questo è il problema più grande al momento.

Per concludere, io vedo un futuro di grandi cambiamenti, di necessarie modifiche al modello base e di ricerca di personalità forti, ma non sono preoccupato per la mancanza di idee, almeno per ora”.