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Come la pubblicità racconta le donne e gli uomini in Italia. Se lo è chiesto Massimo Guastini, presidente Adci, insieme all’Alma Mater di Bologna. E la parità è ancora lontana

L’indagine è stata presentata questa mattina a Roma, presso la Sala Aldo Moro di Palazzo Montecitorio, nell’ambito dell’incontro ‘Rosa Shocking – Violenza, stereotipi….e altre questioni del genere’ organizzato da WeWorld Intervita in vista del prossimo 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Gli autori della ricerca si sono posti l’obiettivo di rispondere a una domanda fondamentale: Quando la pubblicità italiana rappresenta la donna e l’uomo lo fa in modo paritario?

Quasi 20mila campagne (tv, radio, affissione, stampa e banner) sono state osservate e catalogate in categorie prive di un giudizio etico o morale (per esempio: sessista o non sessista). Ne sono derivate 12 categorie per la donna e 9 per gli uomini. Per le quasi 7 mila campagne monitorate nel mese di dicembre si sono valorizzati, grazie a Nielsen Italia, anche gli investimenti pubblicitari. Nelle due tabelle seguenti sono riportate le tipologie femminili e maschili più ricorrenti nella narrazione pubblicitaria (sulla base degli investimenti pubblicitari).

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Nel dicembre 2013 alcune aziende hanno speso 33.567.194 euro in campagne pubblicitarie che rappresentavano, come modello di riferimento maschile, l’uomo professionista, l’uomo che si realizza attraverso le sue competenze e la sua determinazione. Nello stesso mese alcune aziende hanno speso 33.162.902 euro per veicolare come modello di riferimento femminile una donna caratterizzata essenzialmente da fisicità e atteggiamenti seduttivi. Il tasso di occupazione maschile raccontato dalla pubblicità (66.11% – dicembre 2013) è lievemente più alto di quello Istat (64.7% – agosto 2014). Il tasso di occupazione femminile narrato dalla pubblicità (14.33% – dicembre 2013) è decisamente più basso di quello già basso nella realtà (46.5% – Istat agosto 2014).

Le donne disponibili sessualmente sono, per la pubblicità italiana, 22 volte più frequenti degli uomini con lo stesso tipo di disposizione.  Le donne “disponibili sessualmente” e le “preorgasmiche” sono complessivamente 42 volte più frequenti delle donne sportive. Per lo meno stando alla narrazione che la pubblicità fa della donna. Per contro, il maschio che pratica sport è sette volte più frequente di quello disponibile a un rapporto sessuale. La sproporzione tra questi (e altri) numeri dà sicuramente luogo a una rappresentazione non paritaria dei generi.

Grazie a un’altra ricerca presentata sempre oggi da We World/Intervita, si scopre anche che in un anno le onlus investono 16 milioni di euro (circa 1 milione e trecentomila euro al mese) per valorizzare la figura femminile e contrastare la violenza sulle donne.

Per narrare, attraverso la pubblicità, un tipo di donna essenzialmente seduttiva, le aziende hanno investito  65.767.153 euro. 

Dunque, commentano gli autori, “una volta tirate le somme, e osservato il quadro nell’insieme, abbiamo il dovere di affermare forte e chiaro: la rappresentazione della donna nel dicembre 2013 (ma anche nei mesi precedenti) è stata complessivamente scorretta. Non è stata veritiera. Non rispecchia la società”.

Autori della ricerca

Massimo Guastini (Presidente Art Directors Club Italiano – Direttore Creativo & Partner cOOkies adv), Giovanna Cosenza (Presidente del corso di laurea in Scienze della comunicazione all’Alma Mater di Bologna, Presidente del Co.Re.Com Emilia Romagna) Jennifer Colombari ed Elisa Gasbarri, assegniste di ricerca presso l’Università Alma Mater di Bologna. Nielsen Italia, grazie ad Alberto Dal Sasso (Business Unit Director), ha messo a disposizione risorse umane (Stefania Bossi – Senior Marketing Specialist ) e i dati relativi agli investimenti pubblicitari delle campagne monitorate e analizzate.

[pdf]Come la pubblicità racconta gli italiani