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A proposito di creatività, premi e bilanci, Vincenzo Pastore/ Freelance dice la sua

Il tema è stato da noi lanciato a fronte della decisione di Sadoun/Publicis Groupe di vietare a tutte le realtà del gruppo l’iscrizione a premi sino ai Clio del luglio 2018 (aspettiamo le vostre risposte a redazione@youmark.it).

Ha senso privare i reparti creativi della linfa della competizione?  Insomma, i premi non competono alle cosiddette motivazioni che concorrono, assieme alla retribuzione (e spesso aiutandola visto che i budget non sono più così cospicui) a rendere attrattivi una professione, un comparto, un mercato?
“Domanda difficile e risposta controversa, mi spiace. I premi, come tappa di un percorso di crescita e di valorizzazione, sono notoriamente importanti. Quando invece il premio diventa l’unico traguardo, il solo obiettivo che spinge ad alzarsi la mattina, andare in ufficio e andare a spulciare i vecchi annual globali alla ricerca di ‘ispirazione’ (si dice così, no?), allora in questo caso diventa un freno alla crescita professionale. Quando si pensa ai premi e basta e tutto il resto del nostro lavoro diventa secondario, il premio diventa un freno. Quando il premio diventa importante come status da spiattellare su tutti social umanamente conosciuti e bazzicati, solo per il gusto di dire ‘tié’ e sentirsi migliori degli altri allora il premio diventa un freno. La natura dei premi è sempre difficile da inquadrare, secondo me. Oggi più che mai. Una volta, vincere a Cannes, cambiava effettivamente il percorso professionale di una persona. Oggi non ne sono così sicuro. Vedo bellissime campagne non premiate e mi capita anche di vedere idee banali premiate. Spesso mi è capitato di vedere una campagna del cliente X vincere a Cannes e l’anno dopo, la stessa identica campagna ma questa volta del cliente Y, vincere di nuovo. Il premio è sì un attestato di eccellenza ma guai a pensare che sia l’unico.

Poi aggiungo solo un’ultima riflessione: secondo me vincere UN premio non serve a nulla. Se vinci oggi e poi svanisci, a cosa serve? Il premio deve essere uno stimolo costante a spostare l’asticella. Usando una metafora calcistica, devi diventare come il Real Madrid o il Barcellona e ogni anno giocarti la possibilità di portarti a casa il massimo risultato. Ma ogni anno. Se invece finisci in finale un anno e, per una serie di casualità, riesci anche a vincere, mi spieghi a cosa serve se poi lì in finale non ci arrivi più? Sempre usando la metafora calcistica, vedi il Chelsea di qualche anno fa. Ha vinto la Champions, giocando malissimo, e poi? Poi ricordo l’Olanda o il grande Ajax. Non hanno vinto nulla eppure, se non ricordo male, rappresentano ancora oggi un punto di riferimento. I premi servono ma non delimitano la creatività. Chi vince per caso aggiorna solo le statistiche e basta. A volte ho l’impressione che mentre il mondo si confronta contro il mondo, noi spesso abbiamo l’obiettivo di primeggiare ma a livello nazionale. Ma è solo una mia sensazione”.
2) Cosa succede a quella sana competizione interna che il premio sa generare?
“Anche questa volta la natura della risposta è difficile. Purtroppo ho problemi a considerare ‘sana’ la competizione (ovviamente parlo per esperienza personale e non per  i massimi sistemi, ci mancherebbe). Rare volte ho visto una competizione sana ed equa all’interno delle agenzie. Ho visto coppie creative che lavorano quasi tutto l’anno esclusivamente con l’obiettivo di vincere a Cannes (o New York o dove volete) mentre la maggior parte ‘smazza’ e basta. Viene giudicato creativo di default chi in inverno porta gli zoccoli olandesi magari fosforescenti mentre chi mette il maglioncino grigio non avrà mai nessuna chance all’interno di un’agenzia. Apriamo la mente, santo cielo.
Lavorare con il solo obiettivo di vincere a Cannes (o New York o dove volete) secondo me è uno degli errori più grossi che si possa commettere. Io credo che sia fondamentale lavorare con l’obiettivo di trovare nuove strade e nuovi modi per comunicare quello che dobbiamo comunicare. Il premio è un di cui di questo percorso. Solo così si cresce e si diventa un punto di riferimento. Altrimenti si riduce tutto alla propria bacheca personale e non funziona così. Approfitto per esprimere tutta la mia vicinanza agli ‘smazzatori’, a quelli con il maglioncino grigio, a quelli che  pranzo si portano il tupperwere e a quelli che in agenzia lavorano per il day by day e sono esclusi dalla cerchia dei ‘creativi’ e delle possibilità.
3) Secondo voi, ad esempio un Cannes, senza una realtà del calibro del gruppo Publicis o WPP o BBDO, e così via, in lizza, ha ancora valore o sarebbe come vincere le Olimpiadi lasciando fuori uno dei Paesi dal medagliere più folto?
“Tutte domande complesse. Proviamo a rispondere. Alla fine chi vincerà in questo periodo di ‘vuoto’, se ne fregherà del fatto che ci sia o meno Publicis o WPP o BBDO. Chi vince, vince. Stop. Chi non vince, mosso probabilmente da istinti ‘umani’, proverà a sminuire. Non ho mai visto uno vincere e dire: ‘Sì, ho vinto ma solo perché non c’era Tizio o Caio, altrimenti…’. Ricordiamoci tutti quelli che vincono una qualsiasi gara, magari arrivando settimi, e che per una serie di qualifiche si ritrovano sul gradino più alto del podio. Per loro quella è vittoria senza ‘se’ e senza ‘ma’. E poi, ritornando ai festival, non credo che i giurati tenderanno ad abbassare gli standard richiesti per poter assegnare un premio. Anzi.
4) I clienti, quelli di tutti, se ne accorgeranno? Ossia, ha o meno valore per loro poter contare sull’esistenza di un contesto dove la creatività sale sul podio protagonista?
“Non credo. Non credo che l’assenza di Publicis o WPP o BBDO faccia abbassare in automatico gli standard della creatività. Non funziona così. Anzi, volendo azzardare una possibilità, magari potrebbe accadere paradossalmente l’opposto e cioè spingere ancora di più alla ricerca di soluzioni veramente innovative per poter sbaragliare gli altri. I clienti che credono ai premi continueranno a credere nei premi. A prescindere da chi ci sia in gara”.
5) Che la vostra sia una piccola, così come una grande agenzia, in media che percentuale di budget assorbono i premi?
“A prescindere dalla crisi, io credo che il budget riservato ai premi sia ancora consistente. Meno rispetto all’estero ma questo è anche ovvio. Lo dico guardando i lavori iscritti, spesso davvero inutilmente. Quei soldi magari potevano essere utilizzati mandando a Cannes (o altri festival), i creativi più giovani o promettenti. Lì secondo me lavoriamo poco. Lì dobbiamo vincere i premi più importanti. Nell’approccio ai premi. Guardiamo quelli che vanno a Cannes (giusto per citare l’ultimo) e guardiamo invece le altre nazioni chi mandano. Ci sono ovviamente i pezzi da 90 ma ci sono anche tanti giovani. Così si cresce e non mandando a Cannes lavori che nemmeno a vostra madre fareste vedere oppure tenendo i creativi chiusi negli uffici”. 
6) Ragionando di questo passo, alla fine si potrebbe fare a meno di tutto. Ma non credete che impoverire sia sempre uguale morire, insomma, che se il less diventa semplicemente less, ci rimettiamo tutti, qualità e cultura della comunicazione in primis?
“Dipende questo ‘less’ a cosa viene applicato. Nel nostro settore ci si impoverisce quando si dimenticano i valori e la crescita. Quando una statuetta comincia ad essere più importante del lavoro e del bisogno di migliorarsi. Quando internamente un reparto creativo non cerca più il confronto e la contaminazione ma viene usato semplicemente per assecondare il capo di turno. Si perde quando si valorizzano alcune persone e altre no. Si perde quando ‘tu lavori e io, insieme ad altri 78 ci aggiungiamo ai credits’. Si perde quando si va da un cliente con una soluzione creata ad uso e consumo dei premi. Si perde quando non c’è dibattito. Si perde quando si teme il confronto. Si perde quando si ha paura della bravura altrui. Si perde quando un premio alla cultura diventa la cultura del premio (questa era facile, chiedo scusa). Si perde quando non si fa sistema. Si perde quando un successo è frutto della casualità e non della programmazione. Si perde quando un pezzo di un’agenzia va avanti e un altro resta indietro. Si perde quando si perde interesse per altro. Si perde quando non c’è preparazione a vincere. Si perde quando si ragiona basandosi solo su quello che si può toccare con mano. Nella comunicazione e non solo in quella”.
7) Che ne pensate, invece, di una sana razionalizzazione? Ossia una sorta di pulizia per ridurre la dispersione? Meno categorie, meno premi, meno costi…Che soluzione suggerite?
“Questa la vedo molto più difficile. Diciamocelo: Cannes, così come tutti gli altri grandi Festival, sono una macchina per fare soldi. Le iscrizioni ai premi costano un occhio della testa. Andare ai festival costa un occhio della testa. Secondo voi chi rinuncerebbe a questa montagna di soldoni? Temo che le categorie aumenteranno sempre più. Arriveremo anche alle categoria Gran Prix Fake, Layout Innovation, The Best Cromaline e Keynote Presentation of The Year”. 
Vincenzo Pastore, Freelance
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