Youmark

“Chi non ride mai non è una persona seria”, Chopin. “Non voglio specialisti. Non voglio scienziati. Non voglio gente che faccia la cosa giusta. Voglio gente che faccia cose ispirate”, Bernbach. Così Francesco Emiliani condensa il suo + 70-80%. Che quest’anno si chiama Marabelli. E non è effetto nostalgia

L’anno scorso Francesco Emiliani ci aveva presentato il suo +30%, quest’anno si sale al 70-80. Ed è come sempre ‘fisico’, con un nome: Gianfranco Marabelli. Dando per scontato che il business, se si sa ragionare così, arriva da sé.

E poco conterebbe l’elenco di nomi come Esprinet, 
Toffoletto, 
Organyc, Schar
, Ariston, 
Fernet
, Moveon, 
Gruppo Binda: chronotech, breilstones, wyler vetta, hip hop Sparkasse, Campagna contro Bullismo, Audible gruppo Amazon, Humana, People to people, Pd 2×1000, con cui si è quest’anno lavorato, se non si sorridesse più e se non si badasse più alla condivisione e al bello.

Non è banale. Perché, come lo stesso Emiliani scrive in questa lettera a youmark, l’autorevolezza è un sorriso alla fine di una riunione. L’autorità è acidità di stomaco prima di una riunione:

Questo lavoro, malgrado tutti pensino sia la celebrazione dell’ego, scusate la battuta, dovrebbe essere la celebrazione del Lego. Ovvero mettersi insieme ad imparare a costruire pezzetto per pezzetto, edificare un forte insight creativo.

Io non ho vissuto gli anni 80, e nemmeno mica tanto i 90, ma quando sono arrivato nel 1994 alla Ddb ricordo che era una delle tre agenzie dove volevo andare. Avevo un obiettivo. Facevo il copy e volevo scrivere cose belle.

Scelsi Pirella, Verba e poi Barbella.

Con Pirella c’era una grande stima reciproca perché gli avevo detto che mi mandava il Dottor Rigolo e lui capì, mi propose un’assunzione che dovetti rifiutare per colpa del militare. Allora, quando tornai a Milano, tempesta di telefonate, arrivai così da Enrico Bonomini. Fu subito feeling, sulla scrittura sintetica e su quella prolissa. Poi mi fece un grande complimento, o almeno così lo reputai, mi disse “tu non hai uno stile, li fai tuoi tutti…”
Fu così che arrivai a Gianfranco Marabelli. Oggi Gianfranco è ancora una persona con la quale amo comunicare perché mi ha insegnato a vivere nel mondo della comunicazione. Gianfranco è il ritratto di come dovrebbe essere la comunicazione. Dovrebbe sorridere e stare bene. Giocare e ringraziare. Essere educata, avere quello spirito da bambini curiosi e anche birichini.

In agenzia ci si deve divertire. si deve ridere, cazzeggiare, correre nei corridoi e scappare nella propria stanza. Oggi si vive negli open space, dove la gente parla con la propria cuffia e il proprio compagno di idee è il computer.

Voglio solo dire che comunicare il sorriso, o saper comunicare il sorriso, è il primo passo verso quel bambino che stiamo facendo crescere e che si chiama progetto di comunicazione. Quando vedi una cosa bella, intelligente e che ti piace, sorridi dentro e hai quella leggera espressione da ebete che ti rallegra la giornata. 

Persone come Gianfranco mancano. Ho avuto la fortuna di essere il suo copy, un suo collega e oggi lo voglio ringraziare perché secondo me come mi ha insegnato a sorridere. E nel sorridere ho visto un sacco di mondi e abitato in un sacco di paesi.

Oggi, con Gianfranco, vorrei lasciarvi una lettera di dimissioni da questo mondo di non comunicazione, fatto di case history, di digital execution, di ignoranza profonda, di maleducazione e di tutte le cose che molti validi professionisti vorrebbero allontanare dalle loro scrivanie.

Gianfranco ha quasi 8 anni, esattamente 8 e vorrei festeggiarlo citando proprio la lettera che il suo amato Bill scrisse alla Grey quando dette le dimissioni. Ecco, prendo questo finale dell’immortale Bill e lo regalo a Gianfranco e a chi vuole sorridere.

“Percorriamo nuovi sentieri. Proviamo al mondo che il buon gusto, l’arte, la bella scrittura possono dar vita a un buon modo di vendere. Con profondo rispetto, Bill Bernbach”.

New York, 15 maggio 1947
: “Miei cari,
 la nostra agenzia si sta ingrandendo. Di questo possiamo essere felici. Ma è anche una cosa di cui preoccuparsi. Non voglio dire che ci sia da dannarsi all’idea, ma mi preoccupa vedere che stiamo cadendo nella trappola della magniloquenza, che ormai adoriamo sempre più la tecnica e non i contenuti, che inseguiamo la storia invece di esserne artefici, che naufraghiamo nella superficialità invece di farci guidare da solidi principi. E mi preoccupa che cominci a inaridirsi la nostra vena creativa. 
In pubblicità ci sono un sacco di bravissimi tecnici. E purtroppo hanno vita facile. Conoscono tutte le regole. Ti dicono che un annuncio pubblicitario sarà più letto se mostra delle persone. Ti dicono quanto dovrebbe essere lunga o corta una frase. Ti dicono che il testo deve essere spezzettato per una lettura più scorrevole. Ti propongono una certezza dopo l’altra. Sono scienziati della pubblicità. Ma c’è un problema: la pubblicità è fondamentalmente un modo per convincere e convincere non è una scienza. È un‘arte. 
È la nostra scintilla creativa, della quale sono così geloso e che adesso temo si stia perdendo. Non voglio specialisti. Non voglio scienziati. Non voglio gente che faccia la cosa giusta. Voglio gente che faccia cose ispirate. 
Negli ultimi anni avrò fatto colloqui ad almeno un’ottantina di persone, tra copy e art. Molti tra loro erano considerati dei colossi nel nostro campo. È stato terribile scoprire quanto questa gente fosse poco creativa. Certo, di pubblicità ne sapevano. E dal punto di vista tecnico erano aggiornati. Ma se guardi sotto tutta quella tecnica cosa scopri? 
Conformismo, pigrizia mentale, idee mediocri. Eppure erano capaci di difendere qualunque annuncio per il solo fatto che obbediva alle regole della pubblicità. È come adorare un rituale invece di Dio. 
Non sto dicendo che la tecnica sia inutile. Una preparazione tecnica di alto livello ti rende migliore. Ma il pericolo è che la capacità tecnica venga scambiata per abilità creativa. Il pericolo è nella tentazione di assumere gente che usa metodi monotoni. Il pericolo è questa tendenza al prendere gente magari con grande esperienza ma che ci rende simili a tutti gli altri. 
Se vogliamo crescere, dobbiamo farlo con una personalità che sia nostra. Dobbiamo sviluppare un approccio originale, invece di adottare il modo di fare pubblicità imposto dagli altri. 
Percorriamo nuovi sentieri. Proviamo al mondo che il buon gusto, l’arte, la bella scrittura possono dar vita a un buon modo di vendere. Con profondo rispetto, Bill Bernbach”.