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10° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione. Web e connessioni mobili mettono al centro l’individuo. I media siamo noi. Inizia l’era biomediatica

I consumi mediatici nel 2012: premiata l’integrazione dei vecchi media con la rete
La televisione ha un pubblico che coincide sostanzialmente con la totalità della popolazione: il 98,3% (+0,9% rispetto al 2011). Ma si diversificano i modi di guardare la tv. Si consolida il successo delle tv satellitari (+1,6%), della web tv (+1,2%) e della mobile tv (+1,6%). Oggi un quarto degli italiani collegati a internet (il 24,2%) ha l’abitudine di seguire i programmi sui siti web delle emittenti televisive e il 42,4% li cerca su YouTube per costruirsi i propri palinsesti su misura. E queste percentuali aumentano tra gli internauti di 14-29 anni, salendo rispettivamente al 35,3% e al 56,6%.
La chiave del successo è l’integrazione dei vecchi media nell’ambiente di internet. Anche la radio resta un mezzo a larghissima diffusione di massa: l’ascolta l’83,9% della popolazione (+3,7% in un anno). Ma sono sempre più importanti le forme di radio che si determinano all’intersezione con la rete: la radio ascoltata via web tramite il pc (+2,3%) e per mezzo dei telefoni cellulari (+1,4%), che stanno soppiantando un mezzo digitale di prima generazione come il lettore portatile di file mp3 (-1,7%). Proprio i telefoni cellulari (utilizzati ormai dall’81,8% degli italiani) aumentano ancora la loro utenza complessiva (+2,3%), anche grazie agli smartphone (+10% in un solo anno), la cui diffusione è passata tra il 2009 e il 2012 dal 15% al 27,7% della popolazione e oggi si trovano tra le mani di più della metà dei giovani (54,8%). Questi ultimi utilizzano anche i tablet (13,1%) più della media della popolazione (7,8%).

Su internet il 62,1% degli italiani, trascinati dai social network
Internet è il mezzo con il massimo tasso di incremento dell’utenza tra il 2011 e il 2012 (+9%), arrivando al 62,1% degli italiani (erano il 27,8% dieci anni fa, nel 2002). Il dato sale nettamente nel caso dei giovani (90,8%), delle persone più istruite, diplomate o laureate (84,1%), e dei residenti delle grandi città, con più di 500.000 abitanti (74,4%). Gli iscritti a Facebook passano dal 49% dello scorso anno all’attuale 66,6% degli internauti, ovvero il 41,3% degli italiani e il 79,7% dei giovani. YouTube, che nel 2011 raggiungeva il 54,5% di utenti tra le persone con accesso a ‘nternet, arriva ora al 61,7%, pari al 38,3% della popolazione complessiva e al 79,9% dei giovani.
Il mondo in tasca con le app
Nel corso dell’ultimo anno, il 37,5% di chi usa lo smartphone ha scaricato applicazioni e il 16,4% lo fa spesso. Soprattutto giochi, ricercati dal 63,8% di chi scarica app, meteo (33,3%), mappe (32,5%), social network (27,4%), news (25,8%) e sistemi di comunicazione (messaggistica istantanea e telefonate tramite Internet: 23,2%).
Non si ferma l’emorragia di lettori della carta stampata
I quotidiani registrano un calo di lettori del 2,3% (li leggeva il 67% degli italiani cinque anni fa, oggi sono diventati il 45,5%), anche se le testate online contano il 2,1% di contatti in più (20,3% di utenza). La free press perde l’11,8% di lettori (25,7% di utenza), -1% i settimanali (27,5% di utenza), +1% i mensili (19,4% di utenza), -6,5% l’editoria libraria. Ormai meno della metà degli italiani legge almeno un libro l’anno: il 49,7%. Anche se si segnala un +1% per gli e-book. E proprio tra i giovani la disaffezione per la carta stampata è più grave: tra il 2011 e il 2012 i lettori di quotidiani di 14-29 anni sono diminuiti dal 35% al 33,6%, quelli di libri dal 68% al 57,9%.
Il conformismo dell’informazione «fai da te
Si riducono i consumi di quotidiani, ma i portali web d’informazione generici sono utilizzati ormai da un terzo degli italiani (il 33% nel 2012). Non è il bisogno d’informazione a essere diminuito, ma le strade percorse per acquisire le notizie sono cambiate. La tendenza a personalizzare l’accesso alle fonti e la selezione dei contenuti comporta però il rischio che si crei su ogni desktop, telefonino o tablet un giornale composto solo dalle notizie che l’utente vuole conoscere. Dunque la rete come strumento nel quale si cercano le conferme di opinioni, gusti, preferenze che già si possiedono. Il conformismo come risultato dell’autoreferenzialità dell’accesso alle fonti d’informazione.
I media siamo noi: l’inizio dell’era biomediatica
Il notevole sviluppo di internet (sia del numero degli utenti, sia delle sue applicazioni, che ormai permeano ogni aspetto della nostra vita quotidiana), il web 2.0, i social network, la miniaturizzazione dei dispositivi hardware e la proliferazione delle connessioni mobili hanno esaltato il primato del soggetto. L’individuo si specchia nei media (ne è il contenuto) creati dall’individuo stesso (che ne è anche il produttore). Siamo noi stessi a costruirci i nostri palinsesti multimediali personali, tagliati su misura in base alle nostre esigenze e preferenze. E noi stessi realizziamo di continuo contenuti digitali che, grazie a internet, rendiamo disponibili in molti modi. L’autoproduzione di contenuti nell’ambiente web privilegia in massima parte l’esibizione del sé: l’utente è il contenuto. La diffusione delle app per smartphone e il cloud computing rafforzano la centratura sull’individuo del sistema mediatico. Le macchine diventano sempre più piccole e portatili, fino a costituire solo un’appendice della propria persona: un prolungamento che ne amplia le funzioni, ne potenzia le facoltà, ne facilita l’espressione e le relazioni, inaugurando così una fase nuova. E’ l’era biomediatica, in cui diventano centrali la trascrizione virtuale e la condivisione telematica delle biografie personali.
La privacy è ancora un valore?
Cosa rimane oggi della privacy, quando il paradigma della condivisione ha sancito la preminenza dello sharing sul diritto alla riservatezza? Il 75,4% di chi accede a internet ritiene che esista il rischio che la propria privacy possa essere violata sul web. Si teme che chiunque possa pubblicare nei social network contenuti e immagini che ci riguardano (45,3%), la registrazione da parte dei motori di ricerca dei percorsi di navigazione (23,5%), la possibile acquisizione di informazioni personali da parte delle applicazioni e l’utilizzo a scopi commerciali (21,4%), i sistemi di geolocalizzazione (14,7%). Il 54,3% degli italiani pensa che sia necessario tutelare maggiormente la privacy per mezzo di una normativa più severa che preveda sanzioni e la rimozione dei contenuti sgraditi. Ma c’è un 29,3% di cittadini convinti che ciò sia impossibile, perché in rete non si distingue più tra pubblico e privato. Mentre l’8,9% ritiene che sia inutile proteggere la privacy, perché con l’avvento dei social network non è più un valore e la condivisione delle informazioni in rete dà maggiori benefici. Infine, il 7,6% pensa che non si corrano rischi e che le attuali regole a garanzia della privacy siano sufficienti. A proposito del diritto all’oblio su internet, una grande maggioranza dei cittadini (il 74,3%) è favorevole: ognuno ha il diritto di essere dimenticato e le informazioni personali sul nostro passato, se negative o imbarazzanti, dovrebbero poter essere cancellate quando non sono più asservite al diritto di cronaca.
Questi alcuni dei principali risultati del 10° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione, promosso da 3 Italia, Mediaset, Mondadori, Rai e Telecom Italia, presentato oggi a Roma presso la Sala Capitolare del Senato da Giuseppe De Rita e Giuseppe Roma, presidente e direttore generale del Censis, e discusso da Renato Schifani, Presidente del Senato della Repubblica, Andrea Melodia, presidente dell’Ucsi, Vincenzo Novari, amministratore delegato 3 Italia, Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, Maurizio Costa, amministratore delegato Mondadori, Antonio Marano, vicedirettore Generale Rai, e Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali.
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